Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

Francia, assetto tripolare
effetto Marine Le Pen

La sinistra di governo sfidata sul terreno della giustizia sociale

 

Salvo Andò

Le elezioni francesi hanno fatto registrare un successo di Marine Le Pen che è andato oltre le più ottimistiche previsioni dei suoi sostenitori. La  più convincente analisi delle ragioni di questo successo l’ha fatta la stessa leader della destra francese, osservando che l’uniformità del voto nel territorio-sono state espugnate alcune storiche roccaforti della sinistra-e la contestuale ,consistente erosione dei bacini elettorali sia dei socialisti che del centrodestra sarkoziano  danno al sistema politico francese un assetto tripolare .Pare che il doppio turno non debba  costituire una barriera insuperabile per l’affermazione di un terzo polo. Si tratta di segnali sui quali bisognerebbe riflettere anche in Italia. Vi sono evidenti analogie tra la situazione politica dei due paesi, nei  quali il   bipolarismo pare essere in crisi per  ragioni che hanno molto a che fare con il rancore sociale che cresce nei confronti dell’Europa matrigna.

Il voto francese non può essere letto sulla base di vecchi schemi   che distinguevano i diversi attori in competizione   tenendo conto del  rapporto di continuità che li legava alle tradizioni culturali della destra o della sinistra .La Le Pen ha  osservato che il consenso andato al suo Fronte fa di esso un movimento non più fascista, bensì un grande partito in cui si riconosce  un ceto medio, variegato nei suoi orientamenti politici ma unito da un sentimento fortemente antieuropeista .Un ceto medio che vuole dire basta all’Europa dei sacrifici a senso unico e della povertà .

Un esito elettorale come quello che si è avuto in Francia non si può liquidare sbrigativamente dicendo che hanno vinto i demagoghi e ha perduto la politica. Il popolo ha detto chiaro e tondo che vuole una decisa svolta nella politica europea, che non intende riconoscere il potere ingiusto, privo di legittimazione democratica esercitato da un’euroburocrazia onnipotente e irraggiungibile, contro la quale nulla possono neppure partiti della sinistra riformista che sono al governo in Francia e in Italia.

Il partito di Grillo e quello della Le Pen hanno poco in comune. Alle europee non vi sarà   tra di loro alcun tipo di collaborazione. Essi hanno in comune l’avversione verso l’Europa; un sentimento che è stato del tutto estraneo, per tanti decenni, a vasti  settori della destra europea e soprattutto della destra italiana ,che  vedevano  nel processo di integrazione una conquista importante perché  attraverso di  esso  si costruiva  una sorta di “muro democratico” contro l’espansionismo sovietico. Adesso però il comunismo non c’è più e le ambizioni di Putin che mira a conservare un potere di influenza su alcuni antichi domini dell’Unione sovietica non minaccia le condizioni di vita e la stabilità politica dei governi europei.

La vera  scommessa per i governi nazionali, in vista delle scadenze elettorali che vi saranno dopo le elezioni europee, è  quella di fare  delle riforme che contengano efficaci misure anticrisi , ma la precondizione perché ciò avvenga è il riorientamento delle politiche europee, soprattutto con riferimento al modo come affrontare il debito pubblico .La partita si gioca insomma più che a Roma e a Parigi ,a Bruxelles .Ed  il conflitto che conta, da questo punto di vista, non è quello tra centro destra e centro sinistra,tra  progressisti e conservatori all’interno degli stati nazionali, ma tra europeisti e antieuropeisti ,che, così come si sono messe le cose, potrebbero esprimere più di un terzo dei membri del Parlamento europeo .In  questo conflitto gli europeisti potranno prevalere se, all’interno  di uno  schieramento  composito, prevarranno le forze che si battono per un’Europa della solidarietà e della giustizia sociale, che sappia garantire  conti in ordine negli stati , ma non  ad ogni costo considerate le diverse “ condizioni di partenza” degli stati membri. Questo significa che nel Parlamento europeo che verrà fuori dalle prossime elezioni, per vincere le resistenze degli antieuropeisti, vecchi e nuovi, di sinistra e di destra, occorre un accordo tra popolari e socialisti che non abbia ad oggetto solo gli organigrammi—su questo punto si è da sempre trattato- ma le politiche dello sviluppo. C’è da augurarsi che, nel contesto di un dialogo permanente e necessario all’interno del nuovo Parlamento tra i due maggiori partiti possano prevalere gli “egualitaristi” sugli “antiegualitaristi”, cioè coloro che ritengono che l’Europa avrà un futuro solo se i diritti di cittadinanza in una certa misura saranno eguali per tutti coloro che vivono nei paesi dell’UE.

 L’antipolitica, il populismo si battono difendendo in primo luogo il modello sociale europeo.

Il fatto che il partito della Le Pen possa arrivare in un’elezione presidenziale al ballottaggio non è un fatto nuovo, perché anche il padre di Marine Le Pen ha conseguito questo risultato ai tempi di Chirac. Nessuno dei due candidati allora, né Jospin, né Chirac faceva sognare i francesi. Il fatto nuovo è che si va aggregando un popolo che è fatto da gente della destra, della sinistra, del centro, che pare determinato nel rifiutare i sacrifici all’infinito, che non è disposto a rinunciare ad un welfare che ha consentito in Europa l’affermarsi di forme di inclusione sociale che per la loro estensione e qualità non avevano precedenti nella storia dell’umanità. Una politica dei sacrifici a termine può essere tollerata. Se, invece, essa diventa un elemento strutturale del modello sociale, se cioè il ceto medio perde tutto ciò che aveva guadagnato nel corso di un secolo, anche perché l’ascensore sociale non solo rallenta ma addirittura tende a bloccarsi del tutto, è inevitabile che ciò incida sui comportamenti elettorali e che il popolo si divida stabilmente tra euro lealisti, che saranno sempre meno numerosi, e antieuropeisti, che continueranno a crescere. Spetta ai partiti del riformismo europeo, insomma ai partiti del centro-sinistra, dimostrare senso di responsabilità, anzitutto sapendo costruire un largo schieramento politico a difesa dell’Europa della giustizia sociale che comprenda tutti coloro i quali sulla questione sociale non la pensano   come la signora Merkel. Alle elezioni francesi non erano in gioco le sorti del governo, né si votava per eleggere i parlamentari europei; si trattava di elezioni amministrative, nelle quali però la sinistra aveva da sempre registrato risultati eccellenti anche quando poi perdeva alle elezioni politiche e a quelle presidenziali. Stavolta le cose sono andate diversamente; il che significa che il fronte antieuropeista tende a consolidarsi, ad acquisire una identità politica permanente, a prescindere dalla posta in gioco dell’appuntamento elettorale.

C’è un populismo politico che attraverso la crociata contro l’Europa tende ad andare al di là dalla protesta, individuando nei diversi settori sociali che pagano più pesantemente i costi della crisi il proprio naturale popolo di riferimento. Non può non fare riflettere il fatto che una seria analista politica come Barbara Spinelli, figlia di Altier, uno dei padri fondatori dell’Europa, oggi trovi del tutto normale che quelli che sostengono Tsipras possano fare un’alleanza con il movimento di Grillo nel nome della battaglia contro un’Europa ingiusta perché lontana dagli ideali dei padri fondatori, che non pensavano certo di affidare ai mercati ed alle banche le fortune del processo di integrazione. Se i movimenti populisti su questo terreno riescono a essere più convincenti della sinistra riformista, a poco vale spiegare alla gente che il populismo devasta senza costruire. La sinistra di governo oggi è sfidata sul terreno della giustizia sociale da realizzare in Europa non solo dai movimenti populisti della destra ma anche dalle liste di Tsipras. Le elezioni francesi in questo senso  costituiscono per essa un campanello d’allarme che non si può far finta di non sentire .

 
 
La Sicilia del 14/03/2014
 
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