Le elezioni francesi hanno fatto
registrare un successo di Marine Le Pen che è andato oltre
le più ottimistiche previsioni dei suoi sostenitori. La
più convincente
analisi delle ragioni di questo successo l’ha fatta la
stessa leader della destra francese, osservando che
l’uniformità del voto nel territorio-sono state espugnate
alcune storiche roccaforti della sinistra-e la contestuale
,consistente erosione dei bacini elettorali sia dei
socialisti che del centrodestra sarkoziano
danno al sistema politico francese un assetto
tripolare .Pare che il doppio turno non debba
costituire una barriera insuperabile per
l’affermazione di un terzo polo. Si tratta di segnali sui
quali bisognerebbe riflettere anche in Italia. Vi sono
evidenti analogie tra la situazione politica dei due paesi,
nei quali il
bipolarismo pare
essere in crisi per
ragioni che hanno molto a che fare con il rancore
sociale che cresce nei confronti dell’Europa matrigna.
Il voto francese non può essere letto
sulla base di vecchi schemi
che distinguevano i diversi attori in competizione
tenendo conto del rapporto
di continuità che li legava alle tradizioni culturali della
destra o della sinistra .La Le Pen ha
osservato che il
consenso andato al suo Fronte fa di esso un movimento non
più fascista, bensì un grande partito in cui si riconosce
un ceto medio,
variegato nei suoi orientamenti politici ma unito da un
sentimento fortemente antieuropeista .Un ceto medio che
vuole dire basta all’Europa dei sacrifici a senso unico e
della povertà .
Un esito elettorale come quello che si
è avuto in Francia non si può liquidare sbrigativamente
dicendo che hanno vinto i demagoghi e ha perduto la
politica. Il popolo ha detto chiaro e tondo che vuole una
decisa svolta nella politica europea, che non intende
riconoscere il potere ingiusto, privo di legittimazione
democratica esercitato da un’euroburocrazia onnipotente e
irraggiungibile, contro la quale nulla possono neppure
partiti della sinistra riformista che sono al governo in
Francia e in Italia.
Il partito di Grillo e quello della Le
Pen hanno poco in comune. Alle europee non vi sarà
tra di loro alcun
tipo di collaborazione. Essi hanno in comune l’avversione
verso l’Europa; un sentimento che è stato del tutto
estraneo, per tanti decenni, a vasti
settori della destra europea e soprattutto della
destra italiana ,che vedevano
nel processo di
integrazione una conquista importante perché
attraverso di
esso si
costruiva una sorta
di “muro democratico” contro l’espansionismo sovietico.
Adesso però il comunismo non c’è più e le ambizioni di Putin
che mira a conservare un potere di influenza su alcuni
antichi domini dell’Unione sovietica non minaccia le
condizioni di vita e la stabilità politica dei governi
europei.
La vera
scommessa per i governi nazionali, in vista delle
scadenze elettorali che vi saranno dopo le elezioni europee,
è quella di fare
delle riforme che
contengano efficaci misure anticrisi , ma la precondizione
perché ciò avvenga è il riorientamento delle politiche
europee, soprattutto con riferimento al modo come affrontare
il debito pubblico .La partita si gioca insomma più che a
Roma e a Parigi ,a Bruxelles .Ed
il conflitto che
conta, da questo punto di vista, non è quello tra centro
destra e centro sinistra,tra
progressisti e conservatori all’interno degli stati
nazionali, ma tra europeisti e antieuropeisti ,che, così
come si sono messe le cose, potrebbero esprimere più di un
terzo dei membri del Parlamento europeo .In
questo conflitto gli
europeisti potranno prevalere se, all’interno
di uno
schieramento
composito, prevarranno le forze che si battono per
un’Europa della solidarietà e della giustizia sociale, che
sappia garantire
conti in ordine negli stati , ma non
ad ogni costo
considerate le diverse “ condizioni di partenza” degli stati
membri. Questo significa che nel Parlamento europeo che
verrà fuori dalle prossime elezioni, per vincere le
resistenze degli antieuropeisti, vecchi e nuovi, di sinistra
e di destra, occorre un accordo tra popolari e socialisti
che non abbia ad oggetto solo gli organigrammi—su questo
punto si è da sempre trattato- ma le politiche dello
sviluppo. C’è da augurarsi che, nel contesto di un dialogo
permanente e necessario all’interno del nuovo Parlamento tra
i due maggiori partiti possano prevalere gli “egualitaristi”
sugli “antiegualitaristi”, cioè coloro che ritengono che
l’Europa avrà un futuro solo se i diritti di cittadinanza in
una certa misura saranno eguali per tutti coloro che vivono
nei paesi dell’UE.
L’antipolitica,
il populismo si battono difendendo in primo luogo il modello
sociale europeo.
Il fatto che il partito della Le Pen
possa arrivare in un’elezione presidenziale al ballottaggio
non è un fatto nuovo, perché anche il padre di Marine Le Pen
ha conseguito questo risultato ai tempi di Chirac. Nessuno
dei due candidati allora, né Jospin, né Chirac faceva
sognare i francesi. Il fatto nuovo è che si va aggregando un
popolo che è fatto da gente della destra, della sinistra,
del centro, che pare determinato nel rifiutare i sacrifici
all’infinito, che non è disposto a rinunciare ad un welfare
che ha consentito in Europa l’affermarsi di forme di
inclusione sociale che per la loro estensione e qualità non
avevano precedenti nella storia dell’umanità. Una politica
dei sacrifici a termine può essere tollerata. Se, invece,
essa diventa un elemento strutturale del modello sociale, se
cioè il ceto medio perde tutto ciò che aveva guadagnato nel
corso di un secolo, anche perché l’ascensore sociale non
solo rallenta ma addirittura tende a bloccarsi del tutto, è
inevitabile che ciò incida sui comportamenti elettorali e
che il popolo si divida stabilmente tra euro lealisti, che
saranno sempre meno numerosi, e antieuropeisti, che
continueranno a crescere. Spetta ai partiti del riformismo
europeo, insomma ai partiti del centro-sinistra, dimostrare
senso di responsabilità, anzitutto sapendo costruire un
largo schieramento politico a difesa dell’Europa della
giustizia sociale che comprenda tutti coloro i quali sulla
questione sociale non la pensano
come la signora Merkel. Alle elezioni francesi non
erano in gioco le sorti del governo, né si votava per
eleggere i parlamentari europei; si trattava di elezioni
amministrative, nelle quali però la sinistra aveva da sempre
registrato risultati eccellenti anche quando poi perdeva
alle elezioni politiche e a quelle presidenziali. Stavolta
le cose sono andate diversamente; il che significa che il
fronte antieuropeista tende a consolidarsi, ad acquisire una
identità politica permanente, a prescindere dalla posta in
gioco dell’appuntamento elettorale.
C’è un populismo politico che
attraverso la crociata contro l’Europa tende ad andare al di
là dalla protesta, individuando nei diversi settori sociali
che pagano più pesantemente i costi della crisi il proprio
naturale popolo di riferimento. Non può non fare riflettere
il fatto che una seria analista politica come Barbara
Spinelli, figlia di Altier, uno dei padri fondatori
dell’Europa, oggi trovi del tutto normale che quelli che
sostengono Tsipras possano fare un’alleanza con il movimento
di Grillo nel nome della battaglia contro un’Europa ingiusta
perché lontana dagli ideali dei padri fondatori, che non
pensavano certo di affidare ai mercati ed alle banche le
fortune del processo di integrazione. Se i movimenti
populisti su questo terreno riescono a essere più
convincenti della sinistra riformista, a poco vale spiegare
alla gente che il populismo devasta senza costruire. La
sinistra di governo oggi è sfidata sul terreno della
giustizia sociale da realizzare in Europa non solo dai
movimenti populisti della destra ma anche dalle liste di
Tsipras. Le elezioni francesi in questo senso
costituiscono per
essa un campanello d’allarme che non si può far finta di non
sentire .
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