Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

La scelta storica del PD
rafforza l’Italia nell’UE
   

I democratici nel Pse chiudono una lunga stagione di rancori

Salvo Andò

Il congresso del Partito Socialista Europeo(PES), svoltosi a Roma, si è concluso con il lancio della candidatura di Martin Schulz alla Presidenza della Commissione Europea. Si tratta di un’importante novità che non sarà priva di conseguenze sulla stessa architettura istituzionale dell’Ue. E’ vero, infatti, che i cittadini europei a maggio non dovranno eleggere direttamente il Presidente della Commissione. E’ però di straordinaria importanza il fatto che vi saranno dei candidati alla Presidenza della Commissione, espressi dai partiti europei, che si sottoporranno al giudizio di tutti gli elettori europei. La posizione di chi sarà eletto risulterà innegabilmente più forte nel contesto del sistema politico europeo.

Il Congresso del PES, però, è stato un importante appuntamento politico anche per un’altra ragione. Il Partito Democratico, il più importante partito dell’area progressista del nostro paese, ha fatto richiesta di adesione al partito del socialismo europeo. Si tratta di un fatto di grande rilevanza per la vita politica italiana .E da diversi punti di vista .

Anzitutto perché si tratta di una scelta unanime del Pd.Non sono alle viste scissioni o  fughe .E’ una  scelta fatta a seguito di una faticosa riflessione ,destinata ad incidere sulla stessa identità del partito .Il Pd  non nasce  da una indifferenziata aggregazione di leader ed  apparati che  militavano in importanti partiti della Prima e della Seconda Repubblica,  ma come partito nuovo che si è proposto di non identificarsi con nessuna delle due principali famiglie politiche europee, né con il partito popolare né con il partito socialista. Era questa, peraltro, una prospettiva coltivata da Enrico Berlinguer di fronte alla crisi del comunismo sovietico dal quale in più occasioni aveva preso le distanze. L’idea era quella di trovare una terza via in Occidente fra comunismo e socialdemocrazia, considerato che il modello comunista per come si era realizzato nei paesi dell’Europa dell’est  si rivelava incompatibile con il modello di società occidentale , che la via italiana al socialismo non aveva consentito negli anni di Togliatti e negli anni successivi di costruire una alternativa di governo,e che la  politica del compromesso storico si era  risolta in un fallimento.

Nei confronti del socialismo democratico il mondo comunista-ma anche quello socialista fino agli inizi degli anni 50- aveva da sempre manifestato una forte ostilità. La socialdemocrazie veniva considerata inadeguata a realizzare il graduale superamento del capitalismo, essendo essa giudicata prigioniera di quel modello di sviluppo, ritenuto immodificabile. La sinistra italiana nell’immediato dopoguerra perseguiva, invece, l’obiettivo di una transizione dal capitalismo al socialismo attraverso radicali riforme di strutture destinate a far realizzare ai lavoratori italiani storiche conquiste. E ancora trent’anni dopo la nascita della Repubblica, Enrico Berlinguer, mentre il Pci si preparava a realizzare il compromesso storico, continuava a sottolineare come il modello comunista fosse indiscutibilmente superiore rispetto a quello socialdemocratico. Un compromesso con la socialdemocrazia, insomma, appariva del tutto irrealizzabile. Da ciò la ricerca di una terza via, di una soluzione altra rispetto a quella socialdemocratica. Si è trattato di una prospettiva che in un certo senso è sopravvissuta anche alla fine del comunismo , avvenuta dopo la  svolta della Bolognina ed  il  congresso del 91 .L’idea di potere identificarsi con la tradizione  e  la cultura del socialismo europeo è stata sempre rifiutata  , sia dai comunisti che dai postcomunisti. Gli  inviti che in  questo senso venivano dall’area migliorista  erano quasi vissuti come una provocazione .Si pensi in questo senso alle polemiche che coinvolgevano  dirigenti come Macaluso, Chiaromonte, Ranieri, lo stesso Napolitano, insofferenti verso questa pregiudiziale chiusura al confronto con la tradizione socialdemocratica .Ed  anche dopo la fine della Prima Repubblica,con altri protagonisti politici-e nonostante  l’ingresso dei pidiessini nell’Internazionale socialista, un’organizzazione nella quale sono presenti  diversi partiti progressisti di tutti i continenti-si è sempre manifestata una certa difficoltà ad accettare l’idea di potersi ritrovare in un’unica casa socialista. La socialdemocrazia, insomma, continuava ad essere vista non come l’altra sinistra, ma come un concorrente pericoloso e moralmente inferiore – un tempo i socialdemocratici venivano bollati come socialtraditori- perché rifiutavano l’ortodossia marxista e solidarizzavano con i dissidenti dei paesi dell’Europa dell’est.

La scelta compiuta in questi giorni da tutto il PD è quindi una scelta storica, che chiude una lunga vicenda di divisioni,di rancori dentro la  sinistra. E’ un coraggioso atto di realismo politico che tiene conto delle nuove abitudini politiche che si sono consolidate in Europa nonostante le difficoltà che sta affrontando il processo di integrazione. I partiti europei tendono ad essere dei veri partiti e non semplicemente delle organizzazioni che a livello europeo riuniscono i partiti nazionali a cui viene riconosciuta poi piena autonomia.Ciò comporterà che anche all’interno degli stati la vita politica nazionale si europeizzi sempre più, anche per contrastare i movimenti antieuropeisti e razzisti che si vanno organizzando nei diversi paesi europei. Una volta che nessuna terza via si è rivelata praticabile, gli schieramenti che nei grandi paesi dell’UE si fronteggiano sono quelli che fanno riferimento o al PPE, il partito dei conservatori europei che è un rispettabile partito che esprime una collaudata cultura di governo ,o al PES ,che  rappresenta il variegato mondo del riformismo socialista .

L’ingresso dei democratici nel partito socialista europeo rende ancor più vitale il bipolarismo italiano , rende ancora più chiare le differenze culturali che esistono  tra centrodestra e  centrosinistra ,rafforza la vocazione maggioritaria del  Pd ,e libera questo partito dall’antica paura di  poter essere scavalcato a sinistra .Inoltre l’ingresso  del Pd nel PES rende  più forte l’Italia nel contesto europeo soprattutto nel momento in cui  il governo Renzi  intende  portare avanti  decise iniziative per il riorientamento della politica europea, sulla base del convincimento secondo cui le libertà economiche non sono più importanti delle libertà sociali. Un obiettivo così ambizioso non può essere perseguito dai democratici italiani isolandosi dai partiti del socialismo europeo. Essi, invece, operando all’interno del PES, potranno dare più forza a questo partito per tutte le battaglie che intenderà fare a difesa dei valori di una democrazia emancipante.

La scelta compiuta dal Pd non vede vincitori e vinti. Per i democratici non si trattava di scegliere come morire, da democristiani o da socialisti, bensì, come ha avuto modo di osservare con una felice battuta D’Alema, di non morire, e soprattutto di non far morire la speranza di un cambiamento che possa cancellare discriminazioni e  diseguaglianze per rendere giustizia a meriti e bisogni.

Il Pd si batterà con convinzione per il successo della candidatura di Martin Schulz, perché è importante vincere in Europa, ma anche perché le elezioni europee costituiscono il primo grande test elettorale che affronta l’attuale governo. Un successo dei democratici alle elezioni sarebbe da tutti letto come una manifestazione  di fiducia nei confronti di Renzi e come una sollecitazione a fare le riforme ,in primo luogo quelle sociali, rispettando  i tempi che il governo si è dato.

 
 
 
La Sicilia del 06/03/2014
 

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