Il congresso del Partito Socialista
Europeo(PES), svoltosi a Roma, si è concluso con il lancio
della candidatura di Martin Schulz alla Presidenza della
Commissione Europea. Si tratta di un’importante novità che
non sarà priva di conseguenze sulla stessa architettura
istituzionale dell’Ue. E’ vero, infatti, che i cittadini
europei a maggio non dovranno eleggere direttamente il
Presidente della Commissione. E’ però di straordinaria
importanza il fatto che vi saranno dei candidati alla
Presidenza della Commissione, espressi dai partiti europei,
che si sottoporranno al giudizio di tutti gli elettori
europei. La posizione di chi sarà eletto risulterà
innegabilmente più forte nel contesto del sistema politico
europeo.
Il Congresso del PES, però, è stato un
importante appuntamento politico anche per un’altra ragione.
Il Partito Democratico, il più importante partito dell’area
progressista del nostro paese, ha fatto richiesta di
adesione al partito del socialismo europeo. Si tratta di un
fatto di grande rilevanza per la vita politica italiana .E
da diversi punti di vista .
Anzitutto perché si tratta di una scelta
unanime del Pd.Non sono alle viste scissioni o
fughe .E’ una scelta
fatta a seguito di una faticosa riflessione ,destinata ad
incidere sulla stessa identità del partito .Il Pd
non nasce
da una indifferenziata aggregazione di leader ed
apparati che
militavano in importanti partiti della Prima e della
Seconda Repubblica,
ma come partito nuovo che si è proposto di non
identificarsi con nessuna delle due principali famiglie
politiche europee, né con il partito popolare né con il
partito socialista. Era questa, peraltro, una prospettiva
coltivata da Enrico Berlinguer di fronte alla crisi del
comunismo sovietico dal quale in più occasioni aveva preso
le distanze. L’idea era quella di trovare una terza via in
Occidente fra comunismo e socialdemocrazia, considerato che
il modello comunista per come si era realizzato nei paesi
dell’Europa dell’est si
rivelava incompatibile con il modello di società occidentale
, che la via italiana al socialismo non aveva consentito
negli anni di Togliatti e negli anni successivi di costruire
una alternativa di governo,e che la
politica del
compromesso storico si era
risolta in un fallimento.
Nei confronti del socialismo democratico
il mondo comunista-ma anche quello socialista fino agli
inizi degli anni 50- aveva da sempre manifestato una forte
ostilità. La socialdemocrazie veniva considerata inadeguata
a realizzare il graduale superamento del capitalismo,
essendo essa giudicata prigioniera di quel modello di
sviluppo, ritenuto immodificabile. La sinistra italiana
nell’immediato dopoguerra perseguiva, invece, l’obiettivo di
una transizione dal capitalismo al socialismo attraverso
radicali riforme di strutture destinate a far realizzare ai
lavoratori italiani storiche conquiste. E ancora trent’anni
dopo la nascita della Repubblica, Enrico Berlinguer, mentre
il Pci si preparava a realizzare il compromesso storico,
continuava a sottolineare come il modello comunista fosse
indiscutibilmente superiore rispetto a quello
socialdemocratico. Un compromesso con la socialdemocrazia,
insomma, appariva del tutto irrealizzabile. Da ciò la
ricerca di una terza via, di una soluzione altra rispetto a
quella socialdemocratica. Si è trattato di una prospettiva
che in un certo senso è sopravvissuta anche alla fine del
comunismo , avvenuta dopo la
svolta della Bolognina ed
il
congresso del 91
.L’idea di potere identificarsi con la tradizione
e
la cultura del socialismo europeo è stata sempre
rifiutata , sia
dai comunisti che dai postcomunisti. Gli
inviti che in
questo senso venivano
dall’area migliorista erano
quasi vissuti come una provocazione .Si pensi in questo
senso alle polemiche che coinvolgevano
dirigenti come
Macaluso, Chiaromonte, Ranieri, lo stesso Napolitano,
insofferenti verso questa pregiudiziale chiusura al
confronto con la tradizione socialdemocratica .Ed
anche dopo la fine
della Prima Repubblica,con altri protagonisti politici-e
nonostante l’ingresso
dei pidiessini nell’Internazionale socialista,
un’organizzazione nella quale sono presenti
diversi partiti
progressisti di tutti i continenti-si è sempre manifestata
una certa difficoltà ad accettare l’idea di potersi
ritrovare in un’unica casa socialista. La socialdemocrazia,
insomma, continuava ad essere vista non come l’altra
sinistra, ma come un concorrente pericoloso e moralmente
inferiore – un tempo i socialdemocratici venivano bollati
come socialtraditori- perché rifiutavano l’ortodossia
marxista e solidarizzavano con i dissidenti dei paesi
dell’Europa dell’est.
La scelta compiuta in questi giorni da
tutto il PD è quindi una scelta storica, che chiude una
lunga vicenda di divisioni,di rancori dentro la
sinistra. E’ un
coraggioso atto di realismo politico che tiene conto delle
nuove abitudini politiche che si sono consolidate in Europa
nonostante le difficoltà che sta affrontando il processo di
integrazione. I partiti europei tendono ad essere dei veri
partiti e non semplicemente delle organizzazioni che a
livello europeo riuniscono i partiti nazionali a cui viene
riconosciuta poi piena autonomia.Ciò comporterà che anche
all’interno degli stati la vita politica nazionale si
europeizzi sempre più, anche per contrastare i movimenti
antieuropeisti e razzisti che si vanno organizzando nei
diversi paesi europei. Una volta che nessuna terza via si è
rivelata praticabile, gli schieramenti che nei grandi paesi
dell’UE si fronteggiano sono quelli che fanno riferimento o
al PPE, il partito dei conservatori europei che è un
rispettabile partito che esprime una collaudata cultura di
governo ,o al PES ,che rappresenta
il variegato mondo del riformismo socialista .
L’ingresso dei democratici nel partito
socialista europeo rende ancor più vitale il bipolarismo
italiano , rende ancora più chiare le differenze culturali
che esistono tra
centrodestra e centrosinistra
,rafforza la vocazione maggioritaria del
Pd ,e libera questo partito dall’antica paura di
poter essere
scavalcato a sinistra .Inoltre l’ingresso
del Pd nel PES rende
più forte l’Italia
nel contesto europeo soprattutto nel momento in cui
il governo Renzi
intende portare
avanti decise
iniziative per il riorientamento della politica europea,
sulla base del convincimento secondo cui le libertà
economiche non sono più importanti delle libertà sociali. Un
obiettivo così ambizioso non può essere perseguito dai
democratici italiani isolandosi dai partiti del socialismo
europeo. Essi, invece, operando all’interno del PES,
potranno dare più forza a questo partito per tutte le
battaglie che intenderà fare a difesa dei valori di una
democrazia emancipante.
La scelta compiuta dal Pd non vede
vincitori e vinti. Per i democratici non si trattava di
scegliere come morire, da democristiani o da socialisti,
bensì, come ha avuto modo di osservare con una felice
battuta D’Alema, di non morire, e soprattutto di non far
morire la speranza di un cambiamento che possa cancellare
discriminazioni e diseguaglianze
per rendere giustizia a meriti e bisogni.
Il Pd si batterà con convinzione per il
successo della candidatura di Martin Schulz, perché è
importante vincere in Europa, ma anche perché le elezioni
europee costituiscono il primo grande test elettorale che
affronta l’attuale governo. Un successo dei democratici alle
elezioni sarebbe da tutti letto come una manifestazione
di fiducia nei confronti di Renzi e come una
sollecitazione a fare le riforme ,in primo luogo quelle
sociali, rispettando
i tempi che il governo si è dato.
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