La Fondazione Nuovo
Mezzogiorno, in data 4 gennaio 2014, presso l’aula magna del
liceo classico “Ignazio Capizzi” di Bronte, ha tenuto un
convegno pubblico dal titolo “Verso la terza Repubblica:
quale il ruolo dei partiti?“. All’incontro, oltre al
presidente della fondazione, on. Salvo Andò, hanno
partecipato il prof. Avv. Felice Giuffrè, costituzionalista
dell’Università di Catania, il prof. Roberto Tufano, storico
dell’Università di Catania. Con loro anche l’avv. Graziano
Calanna, consigliere comunale di Bronte. Ad introdurre i
lavori è stato il prof. Tufano che ha esordito con una
riflessione sul ruolo che i partiti hanno assunto nella fase
costituente e sull’incapacità riformatrice dei partiti negli
ultimi vent’anni. «La nostra costituzione – ha affermato il
prof. Tufano – è una delle più belle del mondo - citando le
parole del celebre comico Roberto Benigni - e i partiti
politici italiani hanno ricoperto un ruolo esclusivo di
leadership nella redazione della nostra Carta
costituzionale, e a partire da questa fase storica hanno
assunto una fondamentale funzione democratica divenendo
cinghia di trasmissione tra i cittadini e i rappresentanti
politici. Con l’avvento della Seconda Repubblica, i partiti
hanno smarrito notevolmente questo compito e sono divenuti
incapaci di introdurre riforme significative, necessarie per
fronteggiare i cambiamenti sociali ed economici degli ultimi
anni. Inoltre la legge elettorale cosiddetta “Porcellum”,
introdotta nel 2005, non ha fatto altro che determinare un
ancor più netta lontananza dei partiti dai cittadini, data
l’impossibilità di questi ultimi di poter esprimere un voto
di preferenza e quindi, di poter scegliere direttamente i
propri rappresentanti. Le proposte di riforma elettorale
avanzate dal segretario del partito democratico Matteo Renzi,
nelle ultime settimane, ovvero un ritorno al Mattarelum,
una legge elettorale ispirata al modello spagnolo o a quello
dell’elezione diretta dei sindaci, non sembrano garantire
notevoli passi in avanti rispetto alla situazione attuale».
Il prof. Tufano, ha proseguito nel suo intervento,
tratteggiando il rapporto che intercorre tra politica e
finanza, e come questo ha penalizzato col tempo l’azione dei
partiti. «Con l’affermazione del primato della finanza sulla
politica, avvenuto in maniera rilevante negli ultimi anni, i
partiti politici italiani, già resi fragili, dagli scandali
di tangentopoli, sono divenuti sempre più inadeguati nel
loro ruolo di rappresentanza degli interessi del popolo,
gravando, di fatto una frattura, già notevole, tra la
politica e i cittadini. Caso emblematico di questa
soggezione dei rappresentanti politici alle logiche
finanziare è stata la ratifica del Fiscal Compact – patto
fiscale europeo approvato con un trattato internazionale nel
2012 - da parte del governo Monti, che di fatto colloca le
questioni sul debito pubblico fuori da ogni possibilità di
potere e intervento da parte del popolo sovrano. L’adozione
dei contenuti del Fiscal Compact, rafforzano il ruolo della
finanza internazionale nella gestione del debito pubblico
dei paesi sovrani, e rendono sempre più ostiche le
condizioni per attuare nuove politiche keynesiane in Europa,
risultandone così fortemente indeboliti e impoveriti i
sistemi di Welfare State, già fortemente compromessi».
Tufano, ha infine esposto possibili soluzioni al problema,
attraverso l’attuazione di riforme indirizzate verso la
regolamentazione del mercato finanziario, la definizione di
nuove forme di partecipazione democratica e modifiche
migliorative della nostra carta costituzionale. «Per
rispondere ai problemi attuali, i partiti devono farsi
carico di riformare la nostra Costituzione e per garantire
maggiore partecipazione ai cittadini su scelte fondamentali,
si dovrebbe attingere a modelli di democrazia partecipativa
come quello islandese. In Islanda, nel 2010, a seguito della
crisi economica del 2008, è stata eletta una Consulta
Costituzionale con lo scopo di redigere la bozza di una
nuova Costituzione. Il processo di stesura ha visto per la
prima volta nel mondo, l'utilizzo della rete come
piattaforma di discussione e partecipazione dei cittadini
alla redazione di una bozza costituzionale e successivamente
la Consulta ha presentato al Parlamento la bozza della nuova
Costituzione poi approvata tramite un referendum popolare.
La democrazia rappresentativa per rispondere meglio alle
esigenze del popolo, dovrebbe essere integrata da forme di
partecipazione diretta, e incentrata su modelli elettorali
proporzionali, costruiti secondo il principio “una testa, un
voto”. Solo così i governi possono fronteggiare un ostacolo
arcigno come il neo-liberalismo dilagante e rimettere al
centro dell’agenda politica gli interessi della
collettività. La politica deve realizzare una severa
regolamentazione dei mercati, separando nettamente il
settore privato da quello pubblico, ridando slancio e
vitalità alla gestione dei beni comuni da parte degli enti
locali e dello Stato, evitando privatizzazioni inutili e
deleterie. La politica italiana deve quindi seguire due
principi cardine: il perseguimento di una politica economica
imperniata su una spesa pubblica alimentata da un debito
pubblico disciplinato da severi piani di rientro, e
l’approvazione di un sistema elettorale proporzionalista per
evitare derive plebiscitarie e personalistiche, di cui
soffre l’attuale sistema dei partiti». A seguire Tufano, è
stato il costituzionalista Felice Giuffrè che ha introdotto
il suo discorso, soffermandosi sulle condizioni storico -
politiche che hanno portato alla stesura della Carta
costituzionale. «La nostra è una costituzione molto bella –
ha affermato Giuffrè, riprendendo le parole di Tufano – ma
con qualche ruga di troppo. E’ una costituzione che non
aiuta più a risolvere tutti i problemi esistenti e ha
sicuramente bisogno di riforme sostanziali, ma per ragionare
sulle modifiche da attuare bisogna superare la retorica e
analizzare attentamente la nostra Carta costituzionale.
Sicuramente, la prima parte della Costituzione italiana,
quella relativa ai principi e ai valori fondamentali, è
senza ombra di dubbio attuale e non ha bisogno di alcuna
modifica perché costituisce il fondamento della nostra
democrazia rappresentativa ed ha sancito e garantito il
ripristino e la tutela di tutti quei diritti che erano stati
violati dal regime fascista. La prima parte della
Costituzione rappresenta il degno sforzo dei partiti
politici d’allora di consegnare al paese una carta
costituzionale che lo rendesse praticamente immune da nuove
derive autoritarie e anti-democratiche. Lo sforzo è
sicuramente riuscito, anche grazie all’anomalia che il
sistema italiano dei partiti ha incarnato rispetto ad altre
realtà europee venute fuori da esperienze dittatoriali. In
Germania, ad esempio, la costituzione di Bonn promulgata nel
1949, ha messo al bando tutti i partiti politici cosiddetti
“anti-sistema”, ovvero tutti quei partiti che non si
riconoscevano con i principi della Liberal – Democrazia
tedesca: il Partito Comunista di Germania e il Partito
Socialista del Reich tedesco, erede del partito nazista. In
Italia, invece, i partiti anti-sistema come quello comunista
e i partiti di estrema destra ed eredi del fascismo, si sono
sin da subito integrati al sistema democratico, partecipando
- con notevole contributo nel caso dei comunisti - alla fase
costituente e operando liberamente in parlamento nel pieno
rispetto delle regole costituzionali. Di questa fase di
“normale” integrazione dei partiti anti-sistema in Italia,
abbiamo a memoria anche l’amnistia che Togliatti –
segretario del Pci e ministro di grazia e giustizia nel
primo governo De Gasperi – varò nel 1946, un provvedimento
che rese favore, soprattutto agli ex aderenti al partito
fascista e ai repubblichini di salò, una scelta che si
rivelò lungimirante, anche perché grazie ad essa oggi in
Italia, non hanno visto la luce partiti politici che si
dichiarano contrari ai principi democratici sanciti dalla
nostra costituzione». Dopo aver esaurientemente illustrato i
lati positivi della prima parte della Costituzione, sempre
Giuffrè, ha discusso dell’inadeguatezza della seconda parte
della Costituzione e dei tentativi di riforma operati negli
ultimi anni dai partiti. «Esiste invece l’esigenza di
riformare la seconda parte della nostra Costituzione. I
partiti nella fase costituente, risentivano ancora i segni
dell’esperienza fascista, e questo orientò non poco la
stesura delle norme relative al funzionamento degli organi
costituzionali, che per garantire le posizioni delle le
forze politiche in gioco e per prevenire, così come era
avvenuto durante il regime, un esautoramento del ruolo del
parlamento e il prevalere di una forza politica sulle altre,
produssero un sistema democratico basato sulla centralità
del parlamento, ma come si vedrà sin dalla formazione dei
primi governi, affetto da eccessivo parlamentarismo. Negli
anni ’80, una volta normalizzato il quadro ideologico, e
venuto meno il rischio della supremazia di una forza
ideologica sulle altre, non vi era più il pericolo
dell’affermazione di governi autocratici e nacquero di
conseguenza nuove esigenze di riforma dell’apparato dei
poteri costituzionali, orientate alla riduzione e alla
semplificazione dell’iter parlamentare. A partire dagli
anni ’80 inizia quindi un cammino ricco di tentativi di
riforme, con i primi passi mossi dal Psi al governo, le
varie commissioni bicamerali De Mita, Bozzi, D’Alema.
Nessuna però, delle proposte discusse nelle varie
commissioni, vide mai la luce dell’approvazione in
parlamento. Solo la campagna referendaria di Segni andò in
porto, eliminando la logica proporzionalista, ormai superata
e non più necessaria così come lo era stata nel ‘48 quando
si doveva garantire un equilibrio di fatto tra le varie
forze. Il referendum promosso da Segni trovò un successo
insperato nel paese, non tanto perché tra i cittadini ci
fosse una consolidata coscienza delle differenze tra un
sistema maggioritario e un sistema proporzionale, ma perché
contro il referendum si erano schierati i maggiori leader
dei partiti di allora su tutti il cosiddetto CAF – un
triunvirato politico formato da Craxi, Andreotti e Forlani –
e gli italiani intesero quel referendum come un referendum
sulla classe politica di allora, e si espressero quindi
favorevolmente sulla posizione referendaria osteggiata da
quella classe politica. Il sistema maggioritario ha
rappresentato una grande innovazione per il sistema politico
italiano, e non esiste necessità di ritorno ad un sistema
proporzionale, poiché le condizioni che ne richiedevano
l’applicazione sono ormai superate». Concludendo il suo
intervento, Giuffrè ha esposto, quali, secondo lui, sono i
compiti che spettano ai partiti in un momento così difficile
come quello attuale. «I partiti politici nonostante la loro
crisi di legittimazione nel paese, rivestono ancora grande
importanza, perché tocca loro il ruolo di contrappeso
parlamentare ai governi, e la fondamentale funzione
pedagogica all’interno della società, ovvero quella di
essere camera di compensazione degli interessi individuali e
particolaristici, e centro di armonizzazione di questi
ultimi all’interesse collettivo e generale. Questo ruolo, i
partiti, in Italia, l’hanno sicuramente smarrito e molti
oggi, affermano che questo ruolo tocchi ormai alla rete, ma
non è possibile perché proprio nella rete si annidano
pericoli e rischi di derive autocratiche, perché mancano
sistemi di controllo e di trasparenza adeguati a prevenire
tali rischi. Bisogna quindi, evitare il collasso e
l’abbandono dei partiti perché rappresentano l’unico
antidoto alla concentrazione di interessi individuali e alla
deriva anti-democratica». E’ stata poi la volta di Graziano
Calanna, che ha esposto con un breve intervento la sua
opinione sul ruolo dei partiti, portando a testimonianza la
sua esperienza politica in ambito locale. «Oggi ci troviamo
ormai in un dilagante clima di anti-politica che serpeggia
tra i cittadini e tra i giovani in particolare. Questo è
dovuto sicuramente alla difficoltà che i cittadini hanno nel
trovare un’identificazione collettiva nei partiti odierni,
che non riescono più a rispondere alle esigenze e ai
problemi che provengono dalla società. L’era dei partiti
ideologici di massa, dove era vivo il confronto dialettico
tra le diverse culture e anime politiche, è ormai finita da
un pezzo e oggi ci troviamo nell’era della cosiddetta
Democrazia del pubblico, dove hanno il predominio modelli di
partito personale che offrono ai cittadini solo l’illusione
di partecipare realmente ai processi decisionali. Questi
modelli sono destinati al fallimento, come lo dimostra il
caso della Lega Nord, partito anti-casta ai tempi della
prima repubblica, incentrato su una leadership molto forte –
quella di Bossi – partito vincente e ben radicato sul
territorio fino a pochi mesi fa, e poi divorato anch’esso
dai vizi della peggiore politica. Oggi è il Movimento cinque
stelle a incarnare quest’anima protestataria su tutto il
territorio nazionale, attirando verso se, soprattutto quei
giovani arrabbiati e delusi dal sistema politico che ha
dominato la Seconda Repubblica. Ma anche con la presenza del
movimento, novità assoluta nel sistema politico, i giovani a
livello locale sembrano in molti casi fuggire da ogni logica
partitocratica, e dimostrano di avere maggiore voglia ed
entusiasmo nell’occuparsi delle problematiche locali fuori
dalle mura partitiche e anche fuori dal movimento stesso. Il
proliferare di associazioni, liste civiche, movimenti
territoriali, dimostra il desiderio di aggregazione e azione
politica in concorrenza o in aperto contrasto con i partiti,
considerati colpevoli dell’abbandono a se stessi dei
territori locali». A concludere i lavori del convegno è
stato l’on. Andò che ha tratteggiato le differenze
sostanziali tra la prima e la seconda repubblica,
evidenziando come la politica in quest’ultima epoca abbia
tradito le speranze di cambiamento che le erano state
riposte. «La Fondazione Nuovo Mezzogiorno è nata perché
sentiamo la necessità di organizzare convegni come quello di
oggi, ed è nostra intenzione attivare circoli sul
territorio, perché arrivano sempre numerose richieste dalle
scuole, dove gli studenti chiedono di conoscere e
comprendere la politica. I giovani vogliono capire la
politica depurata da climi dominati da opposte tifoserie. I
partiti dovevano servire a creare iniziative come quelle di
oggi, iniziative sui temi con un pubblico interessato a tali
temi e non organizzare, come succedeva e succede spesso,
iniziative dove partecipano folle disinteressate ai temi
collettivi, ma che hanno da chiedere alla politica risposte
per i loro interessi privati. Per comprendere oggi i partiti
e il loro ruolo nella democrazia odierna, bisogna porsi due
domande: se gli attori politici cospirano contro la
democrazia come fanno a partecipare alla vita democratica?;
qual è la percezione dei partiti da parte della gente
confrontando le realtà di ieri con quelle di oggi?. Prima i
partiti erano gli attori della trasformazione sociale, la
politica serviva per cambiare le cose, grazie ai partiti
l’Italia è entrata nell’Onu e nella Cee, per merito dei
partiti, è avvenuta la trasformazione della nazione da paese
agricolo a paese industriale, per non dimenticare i grandi
piani di intervento come quello dell’edilizia popolare, la
riforma agraria e la cassa del mezzogiorno. Nella seconda
repubblica invece non vi sono più state riforme degne di
tale nome, i partiti oggi non riescono più a rispondere alle
domande della trasformazione sociale, ed oggi le
aggregazioni sociali si rivolgono contro i partiti
confluendo nei movimenti che diventano i maggiori
protagonisti della vita politica e sociale. Si prepara
quindi un nuovo ciclo politico, caratterizzato da nuove
maggioranze e nuovi leader, ma questo sarà accompagnato da
un nuovo ciclo istituzionale? Per affacciarci al futuro
dobbiamo capire la lezione del passato. Nella seconda
repubblica la politica è stata travolta da vicende
giudiziarie che ne hanno intaccato la stabilità, mentre ben
che se ne dica, la prima repubblica fu caratterizzata,
nonostante la volatilità dei governi, da grande stabilità,
perché i leader dei partiti non passavano in fretta, erano
per molto tempo protagonisti della vita politica di allora,
ed erano leader prestigiosi, capaci di intrattenere rapporti
importanti con gli altri leader internazionali. Nella
seconda repubblica abbiamo avuto governi più instabili,
un’epoca che io definirei di “bancarotta democratica”,
affetta da patologia giustizialista che ha portato alla fine
dei suoi maggiori protagonisti politici, Berlusconi, con le
recente vicenda Fininvest, e Prodi con il caso Mastella.
Berlusconi nel ’94 con la sua discesa in campo, non aveva
ancora compreso la deriva giustizialista che stava colpendo
il paese, e si illuse di coinvolgere Di Pietro nel suo primo
governo, ma presto comprese a sue spese che le cose stavano
diversamente. La seconda repubblica non sta morendo, in
realtà non è mai nata, e volendo ammettere che sia nata è
morta sicuramente con il governo Monti, perché quest’ultimo
si è sostituito alla scelta democratica dei cittadini,
smentendo di fatto il risultato elettorale, e questo è
avvenuto anche con il governo Letta, un altro caso di
commissariamento politico. Il bipolarismo che ha
caratterizzato la seconda repubblica, è in realtà un
bipolarismo sciancato, poiché il sistema elettorale
maggioritario non ha semplificato il sistema politico e non
è riuscito a contrastare le spinte centrifughe che hanno da
sempre caratterizzato il sistema, anzi queste si sono
moltiplicate, arrivando ad avere oltre 14 partiti. Questo è
avvenuto perché se gli attori politici dei partiti non sono
allineati con i principi su cui si fonda il sistema
elettorale, non vi saranno mai cambiamenti significativi nel
sistema politico. La legge elettorale non ha il potere di
cambiare il sistema politico ma il cambiamento dipende
dall’atteggiamento dei protagonisti politici. I partiti
della prima repubblica erano fortemente divisi
ideologicamente ma condividevano lo stesso spirito civico.
Come ha affermato Emanuele Macaluso – ex deputato di Pci e
Pds – i partiti si confrontavano avendo punti di vista
diversi ma condividendo identici valori». L’on. Andò ha
concluso il suo intervento definendo il ruolo che i partiti
devono avere nell’immediato futuro e ribadendo il bisogno
vitale di dare vita dal basso a un rinnovamento vero nella
vita politica del paese. « La costituzione oggi è ancora
valida ma vecchia perché i meccanismi sono inadeguati
rispetto ai cambiamenti, è quindi necessaria una modifica
della costituzione, ma i partiti oggi, sono in grado di
farlo?. « I vecchi partiti non avrebbero mai boicottato la
costituzione perché accettavano il sistema, volevano
cambiarlo, ma non andarono mai contro il nostro sistema
democratico, Togliatti stesso, da segretario del Pci si
schierò sin da subito e senza ambiguità contro gli
insurrezionalisti del suo partito. La costituente fu un
grande incontro fra culture diverse, rappresentò un patto
culturale prima che politico. Gli attori politici odierni,
non possiedono né la statura politica né culturale per
riformare la nostra Costituzione. Le alternative che ci
stanno di fronte sono due: se i partiti vanno avanti senza
riuscire a produrre riforme, si rafforzeranno sempre più le
forze anti-sistema che affermano la distruzione degli
avversari politici, e cresce quindi il rischio di una deriva
sempre meno democratica; oppure i partiti politici procedono
ad un loro vero rinnovamento interno e provvedono alla
costruzione di una nuova “cosa” così come lo fu la
Costituzione, i partiti devono riprendere quello che
Pasolini chiamava “il sogno di una cosa”, in modo tale da
poter creare un argine robusto contro le forze
anti-democratiche. Le fondazioni e i centri culturali devono
diffondere nuovamente la cultura politica, bisogna
ripoliticizzare la società evitando conflitti partitici che
immobilizzano il paese, non si può rimanere ancora a lungo
nel disordine istituzionale. Bisogna ridare linfa ai centri
di formazione politica, ai centri pedagogici come la Scuola,
la Chiesa, le associazioni e i sindacati, realtà che hanno
contribuito a creare le basi per l’emancipazione sociale.
Bisogna realizzare riforme fiscali per riattivare i consumi
interni e ridistribuire ricchezza tra le classi sociali, e
per far questo i partiti devono collaborare, devono essere
centri di democrazia, se no il paese rischia una pericolosa
deriva anti-democratica. I partiti possono rinnovarsi solo
se a fare politica ci sia chi pensa con la propria testa e
chi vive del proprio lavoro». I lavori si sono conclusi, con
i saluti finali ai presenti da parte dell’avv. Graziano
Calanna, che ha inoltre ringraziato i relatori del convegno
e i presenti della partecipazione, fra i quali, i sindaci e
alcuni tra i componenti delle giunte e dei consigli comunali
dei comuni di Bronte, Maletto, Maniace.
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