Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Nuovo Mezzogiorno
 
 

Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

Verso la terza Repubblica: quale il ruolo dei partiti?

 

A cura della Segreteria della Fondazione

 

La Fondazione Nuovo Mezzogiorno, in data 4 gennaio 2014, presso l’aula magna del liceo classico “Ignazio Capizzi” di Bronte, ha tenuto un convegno pubblico dal titolo “Verso la terza Repubblica: quale il ruolo dei partiti?“. All’incontro, oltre al presidente della fondazione, on. Salvo Andò, hanno partecipato il prof. Avv. Felice Giuffrè, costituzionalista dell’Università di Catania, il prof. Roberto Tufano, storico dell’Università di Catania. Con loro anche l’avv. Graziano Calanna, consigliere comunale di Bronte. Ad introdurre i lavori è stato il prof. Tufano che ha esordito con una riflessione sul ruolo che i partiti hanno assunto nella fase costituente e sull’incapacità riformatrice dei partiti negli ultimi vent’anni. «La nostra costituzione – ha affermato il prof. Tufano – è una delle più belle del mondo -  citando le parole del celebre comico Roberto Benigni - e i partiti politici italiani hanno ricoperto un ruolo esclusivo di leadership nella redazione della nostra Carta costituzionale, e a partire da questa fase storica hanno assunto una fondamentale funzione democratica divenendo cinghia di trasmissione tra i cittadini e i rappresentanti politici. Con l’avvento della Seconda Repubblica, i partiti hanno smarrito notevolmente questo compito e sono divenuti incapaci di introdurre riforme significative, necessarie per fronteggiare i cambiamenti sociali ed economici degli ultimi anni. Inoltre la legge elettorale cosiddetta “Porcellum”, introdotta nel 2005, non ha fatto altro che determinare un ancor più netta lontananza dei partiti dai cittadini, data l’impossibilità di questi ultimi di poter esprimere un voto di preferenza e quindi, di poter scegliere direttamente i propri rappresentanti. Le proposte di riforma elettorale avanzate dal segretario del partito democratico Matteo Renzi, nelle ultime settimane,  ovvero un ritorno al Mattarelum, una legge elettorale ispirata al modello spagnolo o a quello dell’elezione diretta dei sindaci, non sembrano garantire notevoli passi in avanti rispetto alla situazione attuale». Il prof. Tufano, ha proseguito nel suo intervento, tratteggiando il rapporto che intercorre tra politica e finanza, e come questo ha penalizzato col tempo l’azione dei partiti. «Con l’affermazione del primato della finanza sulla politica, avvenuto in maniera rilevante negli ultimi anni, i partiti politici italiani, già resi fragili, dagli scandali di tangentopoli, sono divenuti sempre più inadeguati nel loro ruolo di rappresentanza degli interessi del popolo, gravando, di fatto una frattura, già notevole, tra la politica e i cittadini. Caso emblematico di questa soggezione dei rappresentanti politici alle logiche finanziare è stata la ratifica del Fiscal Compact – patto fiscale europeo approvato con un trattato internazionale nel 2012 - da parte del governo Monti, che di fatto colloca le questioni sul debito pubblico fuori da ogni possibilità di potere e intervento da parte del popolo sovrano. L’adozione dei contenuti del Fiscal Compact, rafforzano il ruolo della finanza internazionale nella gestione del debito pubblico dei paesi sovrani, e rendono sempre più ostiche le condizioni per attuare nuove politiche keynesiane in Europa, risultandone così fortemente indeboliti e impoveriti i sistemi di Welfare State, già fortemente compromessi». Tufano, ha infine esposto possibili soluzioni al problema, attraverso l’attuazione di riforme indirizzate verso la regolamentazione del mercato finanziario, la definizione di nuove forme di partecipazione democratica e modifiche migliorative della nostra carta costituzionale. «Per rispondere ai problemi attuali, i partiti devono farsi carico di riformare la nostra Costituzione e per garantire maggiore partecipazione ai cittadini su scelte fondamentali, si dovrebbe attingere a modelli di democrazia partecipativa come quello islandese. In Islanda, nel 2010, a seguito della crisi economica del 2008, è stata eletta una Consulta Costituzionale con lo scopo di redigere la bozza di una nuova Costituzione. Il processo di stesura ha visto per la prima volta nel mondo, l'utilizzo della rete come piattaforma di discussione e partecipazione dei cittadini alla redazione di una bozza costituzionale e successivamente la Consulta ha presentato al Parlamento la bozza della nuova Costituzione poi approvata tramite un referendum popolare. La democrazia rappresentativa per rispondere meglio alle esigenze del popolo, dovrebbe essere integrata da forme di partecipazione diretta, e incentrata su modelli elettorali proporzionali, costruiti secondo il principio “una testa, un voto”. Solo così i governi possono fronteggiare un ostacolo arcigno come il neo-liberalismo dilagante e rimettere al centro dell’agenda politica gli interessi della collettività. La politica deve realizzare una severa regolamentazione dei mercati, separando nettamente il settore privato da quello pubblico, ridando slancio e vitalità alla gestione dei beni comuni da parte degli enti locali e dello Stato, evitando privatizzazioni inutili e deleterie. La politica italiana deve quindi seguire due principi cardine: il perseguimento di una politica economica imperniata su una spesa pubblica alimentata da un debito pubblico disciplinato da severi piani di rientro, e l’approvazione di un sistema elettorale proporzionalista per evitare derive plebiscitarie e personalistiche, di cui soffre l’attuale sistema dei partiti». A seguire Tufano, è stato il  costituzionalista Felice Giuffrè che ha introdotto il suo discorso, soffermandosi sulle condizioni storico - politiche che hanno portato alla stesura della Carta costituzionale. «La nostra è una costituzione molto bella – ha affermato Giuffrè, riprendendo le parole di Tufano – ma con qualche ruga di troppo. E’ una costituzione che non aiuta più a risolvere tutti i problemi esistenti e ha sicuramente bisogno di riforme sostanziali, ma per ragionare sulle modifiche da attuare bisogna superare la retorica e analizzare attentamente la nostra Carta costituzionale. Sicuramente, la prima parte della Costituzione italiana, quella relativa ai principi e ai valori fondamentali, è senza ombra di dubbio attuale e non ha bisogno di alcuna modifica perché costituisce il fondamento della nostra democrazia rappresentativa ed ha sancito e garantito il ripristino e la tutela di tutti quei diritti che erano stati violati dal regime fascista. La prima parte della Costituzione rappresenta il degno sforzo dei partiti politici d’allora di consegnare al paese una carta costituzionale che lo rendesse praticamente immune da nuove derive autoritarie e anti-democratiche. Lo sforzo è sicuramente riuscito, anche grazie all’anomalia che il sistema italiano dei partiti ha incarnato rispetto ad altre realtà europee venute fuori da esperienze dittatoriali. In Germania, ad esempio, la costituzione di Bonn promulgata nel 1949, ha messo al bando tutti i partiti politici cosiddetti “anti-sistema”, ovvero tutti quei partiti che non si riconoscevano con i principi della Liberal – Democrazia tedesca: il Partito Comunista di Germania e il Partito Socialista del Reich tedesco, erede del partito nazista. In Italia, invece, i partiti anti-sistema come quello comunista e i partiti di estrema destra ed eredi del fascismo, si sono sin da subito integrati al sistema democratico, partecipando - con notevole contributo nel caso dei comunisti - alla fase costituente e operando liberamente in parlamento nel pieno rispetto delle regole costituzionali. Di questa fase di “normale” integrazione dei partiti anti-sistema in Italia, abbiamo a memoria anche l’amnistia che Togliatti – segretario del Pci e ministro di grazia e giustizia nel primo governo De Gasperi – varò nel 1946, un provvedimento che rese favore, soprattutto agli ex aderenti al partito fascista e ai repubblichini di salò, una scelta che si rivelò lungimirante, anche perché grazie ad essa oggi in Italia, non hanno visto la luce partiti politici che si dichiarano contrari ai principi democratici sanciti dalla nostra costituzione». Dopo aver esaurientemente illustrato i lati positivi della prima parte della Costituzione, sempre Giuffrè, ha discusso dell’inadeguatezza della seconda parte della Costituzione e dei tentativi di riforma operati negli ultimi anni dai partiti. «Esiste invece l’esigenza di riformare la seconda parte della nostra Costituzione. I partiti nella fase costituente, risentivano ancora i segni dell’esperienza fascista, e questo orientò non poco la stesura delle norme relative al funzionamento degli organi costituzionali, che per garantire le posizioni delle le forze politiche in gioco e per prevenire, così come era avvenuto durante il regime, un esautoramento del ruolo del parlamento e il prevalere di una forza politica sulle altre, produssero un sistema democratico basato sulla centralità del parlamento, ma come si vedrà sin dalla formazione dei primi governi, affetto da eccessivo parlamentarismo. Negli anni ’80, una volta normalizzato il quadro ideologico, e venuto meno il rischio della supremazia di una forza ideologica sulle altre, non vi era più il pericolo dell’affermazione di governi autocratici e nacquero di conseguenza nuove esigenze di riforma dell’apparato dei poteri costituzionali, orientate alla riduzione e alla semplificazione dell’iter  parlamentare. A partire dagli anni ’80 inizia quindi un  cammino ricco di tentativi di riforme, con i primi passi mossi dal Psi al governo, le varie commissioni bicamerali De Mita, Bozzi, D’Alema. Nessuna però, delle proposte discusse nelle varie commissioni, vide mai la luce dell’approvazione in parlamento. Solo la campagna referendaria di Segni andò in porto, eliminando la logica proporzionalista, ormai superata e non più necessaria così come lo era stata nel ‘48 quando si doveva garantire un equilibrio di fatto tra le varie forze. Il referendum promosso da Segni trovò un successo insperato nel paese, non tanto perché tra i cittadini ci fosse una consolidata coscienza delle differenze tra un sistema maggioritario e un sistema proporzionale, ma perché contro il referendum si erano schierati i maggiori leader dei partiti di allora su tutti il cosiddetto CAF – un triunvirato politico formato da Craxi, Andreotti e Forlani – e gli italiani intesero quel referendum come un referendum sulla classe politica di allora, e si espressero quindi favorevolmente sulla posizione referendaria osteggiata da quella classe politica. Il sistema maggioritario ha rappresentato una grande innovazione per il sistema politico italiano, e non esiste necessità di ritorno ad un sistema proporzionale, poiché le condizioni che ne richiedevano l’applicazione sono ormai superate». Concludendo il suo intervento, Giuffrè ha esposto, quali, secondo lui, sono i compiti che spettano ai partiti in un momento così difficile come quello attuale. «I partiti politici nonostante la loro crisi di legittimazione nel paese, rivestono ancora grande importanza, perché tocca loro il ruolo di contrappeso parlamentare ai governi, e la fondamentale funzione pedagogica all’interno della società, ovvero quella di essere camera di compensazione degli interessi individuali e particolaristici, e centro di armonizzazione di questi ultimi all’interesse collettivo e generale. Questo ruolo, i partiti, in Italia, l’hanno sicuramente smarrito e molti oggi, affermano che questo ruolo tocchi ormai alla rete, ma non è possibile perché proprio nella rete si annidano pericoli e rischi di derive autocratiche, perché mancano sistemi di controllo e di trasparenza adeguati a prevenire tali rischi. Bisogna quindi, evitare il collasso e l’abbandono dei partiti perché rappresentano l’unico antidoto alla concentrazione di interessi individuali e alla deriva anti-democratica». E’ stata poi la volta di Graziano Calanna, che ha esposto con un breve intervento la sua opinione sul ruolo dei partiti, portando a testimonianza la sua esperienza politica in ambito locale. «Oggi ci troviamo ormai in un dilagante clima di anti-politica che serpeggia tra i cittadini e tra i giovani in particolare. Questo è dovuto sicuramente alla difficoltà che i cittadini hanno nel trovare un’identificazione collettiva nei partiti odierni, che non riescono più a rispondere alle esigenze e ai problemi che provengono dalla società. L’era dei partiti ideologici di massa, dove era vivo il confronto dialettico tra le diverse culture e anime politiche, è ormai finita da un pezzo e oggi ci troviamo nell’era della cosiddetta Democrazia del pubblico, dove hanno il predominio modelli di partito personale che offrono  ai cittadini solo l’illusione di partecipare realmente ai processi decisionali. Questi modelli sono destinati al fallimento, come lo dimostra il caso della Lega Nord, partito anti-casta ai tempi della prima repubblica, incentrato su una leadership molto forte – quella di Bossi – partito vincente e ben radicato sul territorio fino a pochi mesi fa, e poi divorato anch’esso dai vizi della peggiore politica. Oggi è il Movimento cinque stelle a incarnare quest’anima protestataria su tutto il territorio nazionale, attirando verso se, soprattutto quei giovani arrabbiati e delusi dal sistema politico che ha dominato la Seconda Repubblica. Ma anche con la presenza del movimento, novità assoluta nel sistema politico, i giovani a livello locale sembrano in molti casi fuggire da ogni logica partitocratica, e dimostrano di avere maggiore voglia ed entusiasmo nell’occuparsi delle problematiche locali fuori dalle mura partitiche e anche fuori dal movimento stesso. Il proliferare di associazioni, liste civiche, movimenti territoriali, dimostra il desiderio di aggregazione e azione politica in concorrenza o in aperto contrasto con i partiti, considerati colpevoli dell’abbandono a se stessi dei territori locali». A concludere i lavori del convegno è stato l’on. Andò che ha tratteggiato le differenze sostanziali tra la prima e la seconda repubblica, evidenziando come la politica in quest’ultima epoca abbia tradito le speranze di cambiamento che le erano state riposte. «La Fondazione Nuovo Mezzogiorno è nata perché sentiamo la necessità di organizzare convegni come quello di oggi, ed è nostra intenzione attivare circoli sul territorio, perché arrivano sempre numerose richieste dalle scuole, dove gli studenti chiedono di conoscere e comprendere la politica. I giovani vogliono capire la politica depurata da climi dominati da opposte tifoserie. I partiti dovevano servire a creare iniziative come quelle di oggi, iniziative sui temi con un pubblico interessato a tali temi e non organizzare, come succedeva e succede spesso, iniziative dove partecipano folle disinteressate ai temi collettivi, ma che hanno da chiedere alla politica risposte per i loro interessi privati. Per comprendere oggi i partiti e il loro ruolo nella democrazia odierna, bisogna porsi due domande: se gli attori politici cospirano contro la democrazia come fanno a partecipare alla vita democratica?; qual è la percezione dei partiti da parte della gente confrontando le realtà di ieri con quelle di oggi?. Prima i partiti erano gli attori della trasformazione sociale, la politica serviva per cambiare le cose, grazie ai partiti l’Italia è entrata nell’Onu e nella Cee, per merito dei partiti, è avvenuta la trasformazione della nazione da paese agricolo a paese industriale, per non dimenticare i grandi piani di intervento come quello dell’edilizia popolare, la riforma agraria e la cassa del mezzogiorno. Nella seconda repubblica invece non vi sono più state riforme degne di tale nome, i partiti oggi non riescono più a rispondere alle domande della trasformazione sociale, ed oggi le aggregazioni sociali si rivolgono contro i partiti confluendo nei movimenti che diventano i maggiori protagonisti della vita politica e sociale. Si prepara quindi un nuovo ciclo politico, caratterizzato da nuove maggioranze e nuovi leader, ma questo sarà accompagnato da un nuovo ciclo istituzionale? Per affacciarci al futuro dobbiamo capire la lezione del passato. Nella seconda repubblica la politica è stata travolta da vicende giudiziarie che ne hanno intaccato la stabilità, mentre ben che se ne dica, la prima repubblica fu caratterizzata, nonostante la volatilità dei governi, da grande stabilità, perché i leader dei partiti non passavano in fretta, erano per molto tempo protagonisti della vita politica di allora, ed erano leader prestigiosi, capaci di intrattenere rapporti importanti con gli altri leader internazionali. Nella seconda repubblica abbiamo avuto governi più instabili, un’epoca che io definirei di “bancarotta democratica”, affetta da patologia giustizialista che ha portato alla fine dei suoi maggiori protagonisti politici, Berlusconi, con le recente vicenda Fininvest, e Prodi con il caso Mastella. Berlusconi nel ’94 con la sua discesa in campo, non aveva ancora compreso la deriva giustizialista che stava colpendo il paese, e si illuse di coinvolgere Di Pietro nel suo primo governo, ma presto comprese a sue spese che le cose stavano diversamente. La seconda repubblica non sta morendo, in realtà non è mai nata, e volendo ammettere che sia nata è morta sicuramente con il governo Monti, perché quest’ultimo si è sostituito alla scelta democratica dei cittadini, smentendo di fatto il risultato elettorale, e questo è avvenuto anche con il governo Letta, un altro caso di commissariamento politico. Il bipolarismo che ha caratterizzato la seconda repubblica, è in realtà un bipolarismo sciancato, poiché il sistema elettorale maggioritario non ha semplificato il sistema politico e non è riuscito a contrastare le spinte centrifughe che hanno da sempre caratterizzato il sistema, anzi queste si sono moltiplicate, arrivando ad avere oltre 14 partiti. Questo è avvenuto perché se gli attori politici dei partiti non sono allineati con i principi su cui si fonda il sistema elettorale, non vi saranno mai cambiamenti significativi nel sistema politico. La legge elettorale non ha il potere di cambiare il sistema politico ma il cambiamento dipende dall’atteggiamento dei protagonisti politici. I partiti della prima repubblica erano fortemente divisi ideologicamente ma condividevano lo stesso spirito civico. Come ha affermato Emanuele Macaluso – ex deputato di Pci e Pds – i partiti si confrontavano avendo punti di vista diversi ma condividendo identici valori». L’on. Andò ha concluso il suo intervento definendo il ruolo che i partiti devono avere nell’immediato futuro e ribadendo il bisogno vitale di dare vita dal basso a un rinnovamento vero nella vita politica del paese. « La costituzione oggi è ancora valida ma vecchia perché i meccanismi sono inadeguati rispetto ai cambiamenti, è quindi necessaria una modifica della costituzione, ma i partiti oggi, sono in grado di farlo?. « I vecchi partiti non avrebbero mai boicottato la costituzione perché accettavano il sistema, volevano cambiarlo, ma non andarono mai contro il nostro sistema democratico, Togliatti stesso, da segretario del Pci si schierò sin da subito e senza ambiguità contro gli insurrezionalisti del suo partito. La costituente fu un grande incontro fra culture diverse, rappresentò un patto culturale prima che politico. Gli attori politici odierni, non possiedono né la statura politica né culturale per riformare la nostra Costituzione. Le alternative che ci stanno di fronte sono due: se i partiti vanno avanti senza riuscire a produrre riforme, si rafforzeranno sempre più le forze anti-sistema che affermano la distruzione degli avversari politici, e cresce quindi il rischio di una deriva sempre meno democratica; oppure i partiti politici procedono ad un loro vero rinnovamento interno e provvedono alla costruzione di una nuova “cosa” così come lo fu la Costituzione, i partiti devono riprendere quello che Pasolini chiamava “il sogno di una cosa”, in modo tale da poter creare un argine robusto contro le forze anti-democratiche. Le fondazioni e i centri culturali devono diffondere nuovamente la cultura politica, bisogna ripoliticizzare la società evitando conflitti partitici che immobilizzano il paese, non si può rimanere ancora a lungo nel disordine istituzionale. Bisogna ridare linfa ai centri di formazione politica, ai centri pedagogici come la Scuola, la Chiesa, le associazioni e i sindacati, realtà che hanno contribuito a creare le basi per l’emancipazione sociale. Bisogna realizzare riforme fiscali per riattivare i consumi interni e ridistribuire ricchezza tra le classi sociali, e per far questo i partiti devono collaborare, devono essere centri di democrazia, se no il paese rischia una pericolosa deriva anti-democratica. I partiti possono rinnovarsi solo se a fare politica ci sia chi pensa con la propria testa e chi vive del proprio lavoro». I lavori si sono conclusi, con i saluti finali ai presenti da parte dell’avv. Graziano Calanna, che ha inoltre ringraziato i relatori del convegno e i presenti della partecipazione, fra i quali, i sindaci e alcuni tra i componenti delle giunte e dei consigli comunali dei comuni di Bronte, Maletto, Maniace.

 

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