| L'Assemblea  Regionale Siciliana chiude 
                    i battenti, con le dimissioni del Presidente Lombardo, in un 
                    clima avvelenato dalle polemiche. Si è trattato  di  una  legislatura che 
                     ha registrato  uno  scontro permanente tra le maggioranze 
                    che si sono andate via via formando e le opposizioni .Si 
                    sono avvicendati moltissimi  assessori,tecnici e 
                    politici,alcuni dei quali destinati a rimanere in carica 
                    solo per poche settimane;c’è stato anche   un andirivieni di 
                    parlamentari da uno schieramento  ,da un partito all’altro 
                    forse senza precedenti. Come senza precedenti è l’atto 
                    politico che segna il momento più alto del conflitto tra 
                    Lombardo ed i suoi oppositori:  una legge  che vieta  al 
                    governo regionale di procedere alle nomine del “ 
                    sottogoverno”  ,per evitare che  tale potere venga 
                    utilizzato per acquisire consensi elettorali. Si è trattato di una legislatura 
                    anomala anche per un'altra ragione. I partiti ,tutti,sono 
                    stati a turno forze di governo e di opposizione, con buona 
                    pace del bipolarismo che avrebbe dovuto consentire, grazie 
                    all'elezione diretta del Presidente della Regione, un 
                    rilancio,anche sul piano dell’immagine, dell’ARS,da sempre 
                    ostaggio  di pratiche consociative incoraggiate da una 
                     antica attitudine al  trasformismo. Pare proprio ,insomma , che  il sistema 
                    politico regionale abbia   toccato il fondo sul piano della 
                    considerazione sociale. Si tratta,adesso, di affrontare con 
                    coraggio quella che ormai si configura come una vera e 
                    propria”emergenza istituzionale “ .Occorre, infatti, 
                    rifondare una cultura di governo dopo una stagione politica 
                    dalla quale i partiti escono a pezzi e ulteriormente 
                    delegittimati. Una cosa pare certa. La politica 
                    regionale  non può essere un affare che riguarda solo l’uso 
                    della spesa pubblica  come indispensabile strumento per 
                    organizzare il voto di scambio. Non si può continuare  a 
                    sottrarre  risorse da destinare al soddisfacimento di 
                    diritti fondamentali  per sfamare clientele sterminate o per 
                    soddisfare l’ingordigia di imprenditori poco noti ai 
                    mercati,ma noti o notissimi presso gli uffici regionali. È intollerabile che la Regione continui 
                     a essere uno stipendificio. E’ intollerabile che si invochi 
                    il diritto al lavoro,per giustificare gli sprechi compiuti 
                    nel corso degli anni .Nella  Costituzione il lavoro è 
                    concepito come conquista e non come strumento per acquisire 
                    consensi elettorali. Di  fronte ai costi enormi  di una 
                    burocrazia  e di apparati politici obesi ed 
                    inefficaci(grazie anche ai tantissimi consulenti, esperti 
                    del nulla ),non si può non pensare,con giusta indignazione, 
                    ai beni culturali che rimangono incustoditi e  male 
                    gestiti,alle piccole imprese che chiedono di essere 
                    sostenute per trovare mercato e restano inascoltate,ai 
                    giovani  che frequentano aule dove da anni non si fanno le 
                     manutenzioni,alle università ove si tagliano i soldi per la 
                    ricerca mentre si continuano a finanziare corsi 
                    professionali gestiti direttamente o indirettamente dalla 
                    politica,alla disinvoltura con cui  si mortifica il merito, 
                    privilegiando non le carriere scolastiche eccellenti , non 
                    le  competenze verificate sul campo , ma l'attitudine a 
                    raccogliere voti e ad “obbedir tacendo” . A questo stato di cose non si può 
                    rimediare con la  frettolosa operazione di spending review 
                    che si vuole mettere a punto mentre le elezioni sono alle 
                    porte. Si vorrebbe  rigirare la Regione come un calzino, 
                    facendo nel giro di due giorni quello che non si è fatto per 
                    un'intera legislatura. Ciò di cui la Sicilia ha  bisogno non è 
                    di azioni  dimostrative. Occorre un piano di risanamento 
                    della spesa pubblica, che deve essere largamente condiviso, 
                    che promuova una vera economia  dello sviluppo e non  
                    un'economia di mera sussistenza ,e  dal quale emerga una 
                    precisa idea di società. Si tratta di interrompere , nella  
                    nuova Assemblea regionale ,la  tradizione delle  leggi 
                    finanziarie con le quali a ciascuno che chiede si dà  
                    comunque qualcosa, solo che abbia dei santi protettori in 
                    aula. Molte di queste riforme che si 
                    auspicano  sono riforme che non costano, ma che possono 
                    stroncare le cattive abitudini della politica regionale. C’è da augurarsi che di tutto ciò si 
                    parli in campagna elettorale,anziché continuare a discettare 
                     di autonomia tradita ,di Alta Corte da ripristinare,di 
                    alleanze virtuose destinate a rimpiazzare alleanze anomale;e 
                    che  se ne parli con attori politici, possibilmente nuovi, 
                    che sappiano anche affrontare il rischio dell'impopolarità , 
                    in grado di fare proposte che riescano a  conciliare rigore 
                    e giustizia sociale. È questa la via maestra per affrontare  
                    il   “caso Sicilia”, facendosi carico di ricostruire l’ 
                    immagine di un intero sistema regione. La cattiva immagine 
                    costa,infatti,moltissimo in termini di sviluppo negato ,di 
                    occasioni perdute. Si parli pure quindi, anche in campagna 
                    elettorale, dei nemici  della Sicilia che dal “continente” 
                    ci guardano con malevolenza,che sono sempre in agguato;ma si 
                    parli anche dei nemici della Sicilia che stanno in Sicilia. Il fatto che la gente appaia sempre più 
                    disinteressata alle dispute di una politica da cui non si 
                    sente rappresentata , che rivendichi forme di 
                    autorappresentanza che passano attraverso la costituzione di 
                    movimenti di base , soprattutto di liste civiche , 
                    costituisce un invito a lavorare per far emergere un ‘altra 
                    politica. Siamo  di fronte alla fine di un ciclo politico ed 
                    istituzionale. Bisogna,in questa fase,sapersi guardare dai 
                    finti cambiamenti , dalle simulazioni . La tentazione di 
                      pezzi di vecchi partiti di  trasformarsi in movimenti è 
                    molto forte . Ma nulla più della faccia delle persone,e 
                     della loro storia, e della discussione pubblica  può fare 
                    chiarezza.   |