Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

Un bilancio sociale
per i grandi affari

 

Maurizio Caserta

 

Nella Catania di domani si parlerà molto di grandi affari. Si ha un grande affare quando vi è la prospettiva di mobilitare ingenti risorse, pubbliche o private, per la produzione di beni o servizi. Su queste risorse molti lanciano un’opzione, ossia si prenotano per metterci le mani sopra. I beni e i servizi prodotti in questo modo sono fonte di benefici e costi, privati e pubblici. Non sempre tuttavia quei benefici e quei costi sono ben distribuiti. Il problema sorge quando il beneficio aggregato è più piccolo del costo aggregato, oppure quando chi riceve benefici non ha sopportato la giusta dose di costi.  Se si esclude il caso in cui il grande affare è bene non farlo perché, fatti i conti, i danni superano i vantaggi, restano i casi più interessanti in cui complessivamente l’affare è utile, ma i danni vengono sopportati da chi riceve nessuno o pochi benefici.  

Si può fare un esempio. Se il grande affare è la costruzione di un grande parcheggio nel centro della città ci sarà un ovvio beneficio sulla gestione del traffico, sulla produzione di reddito nel breve e nel lungo termine, sulla occupazione di lavoratori nel breve e nel lungo termine; ma potrebbero esserci dei costi sul piano della sicurezza della struttura se questa viene fatta con materiali scadenti o competenze improprie; sul piano dell’ambiente naturale ed urbano che potrebbero essere danneggiati; sul piano della buona pratica degli affari se le procedure seguite non rispondono a criteri di economicità. Ammettendo pure che nel complesso i benefici superino i costi, potrebbe accadere per esempio che i costi ambientali siano sopportati da chi non trae alcun beneficio dall’opera, oppure che la distorsione nelle procedure sia sopportata dagli utenti della struttura, che pertanto pagheranno un prezzo, direttamente o indirettamente, maggiore di quello giustificato dal servizio ricevuto. In questo caso ci saranno soggetti che riceveranno un beneficio, sotto forma di profitti, maggiore di quello che il loro impegno giustificherebbe. Il problema è che queste distorsioni, oltre alla palese iniquità, hanno l’effetto di attrarre imprese non particolarmente buone, inefficienti o rischiose come quelle criminali, le quali ricevendo di più di ciò che sarebbe giustificato possono permettersi di avere costi più alti o di essere  poco presentabili.  

Dato che una città moderna ha bisogno anche di strutture di grandi dimensioni per sfruttare le economie derivanti dalla concentrazione e dalla dimensione, il problema merita grande attenzione anche a Catania. Ciò è vero perché a Catania, anche ad uno sguardo superficiale, non sembra proprio che su questo versante le cose vadano per il meglio. La città è piena di ipermercati chiaramente in eccesso rispetto alle caratteristiche del territorio; è piena di grandi aree destinate a parcheggi ma interamente inutilizzate; ha diverse strutture pubbliche che non si sa bene a cosa destinare; ha grandi progetti avviati e mai conclusi. Non si può essere accusati di atteggiamento pregiudiziale se si afferma quindi che è bene avviare una riflessione pubblica sul tema. L’assenza di pregiudizio impone che si guardi a tutti gli attori coinvolti. Questi ricadono in ultima analisi all’interno di tre categorie: i titolari delle risorse impiegate nella produzione dell’opera e nella prestazione del servizio (imprese, banche e lavoratori); gli utenti del servizio (cittadini e loro rappresentanti); gli agenti del controllo (magistratura, stampa, enti locali, associazioni). Cos’è che, in questo complesso quadro di interazione, non funziona a Catania?

È evidente che questi soggetti non hanno tutti la stessa forza: quest’ultima dipende dalla loro organizzazione interna e dalla loro disponibilità di risorse. É evidente inoltre che l’interesse privato e l’interesse pubblico non sono presenti nella stessa misura nell’operare di ciascun soggetto. Nelle prime due categorie l’interesse privato è prevalente; nella terza categoria l’interesse pubblico è prevalente o esclusivo. Ma l’interesse pubblico è comunque presente. Si trova nell’operare di un’impresa anche quando stipula contratti di diritto privato: trattandosi di un grande affare ci sono sempre effetti su soggetti non direttamente coinvolti nel contratto. Si trova nell’operare dei lavoratori e delle loro organizzazioni, che non possono ignorare gli effetti che la loro attività negoziale ha sull’ambiente esterno. Si trova ovviamente nell’operare della magistratura che, sia pure nel rispetto della legge e delle procedure, non può non farsi carico delle conseguenze sociali delle sue decisioni. Si trova nell’operare della stampa che sia pure nel rispetto delle linee editoriali e degli equilibri d’impresa non può non assolvere al cruciale obbligo di completezza dell’informazione e di serietà ed equilibrio nelle inchieste. Sono persuaso che è proprio nella coagulazione e nella successiva rappresentazione dell’interesse pubblico che il problema sorge.

Vi è infatti a Catania una certa resistenza dei soggetti coinvolti nei grandi affari a fare emergere l’interesse pubblico di cui sono titolari. È fiorita a Catania un’aneddotica dei ‘tavoli’ ai quali le decisioni importanti verrebbero assunte, che viene utilizzata dagli uni per darsi un contegno, dagli altri per vedervi sempre loschi traffici. Si tratta di una pratica, non certo ignota al resto del paese, che segnala un’idea del potere, un po’ provinciale ma non per questo meno vantaggiosa per chi la sposa, secondo la quale una certa ambiguità ed una certa vaghezza dei confini rende il potere più forte e più attraente. Si sostiene dunque, sia pure implicitamente, che il potere esercitato non sia rendicontabile per intero; e che da ciò nascano vantaggi per tutti. 

Non è questo – come è ovvio – il modo in cui funzionano le società avanzate. Esse abbisognano di riflettori potentissimi su tutto ciò che concerne l’interesse pubblico. Solo in questo modo le risorse possono essere orientate verso gli usi più appropriati. E solo in questo modo chi ha una funzione pubblica da svolgere, sia esso un’impresa o un ente pubblico, una banca o un giornale, un sindacato o un ufficio giudiziario,  può essere indotto a farlo nel modo più responsabile possibile. Occorre in altri termini un bilancio sociale per ciascun grande affare, un bilancio dal quale emergano tutti gli attori coinvolti con i loro legittimi interessi privati e la loro incomprimibile funzione pubblica. Gli interessi privati dovranno essere riconosciuti, ma la funzione pubblica con gli obblighi che essa comporta non potrà essere tralasciata. Occorrerà far di conto, perché la città tutta possa avere contezza di ciò che sta dando e di ciò che sta ricevendo e per verificare se ogni tanto il pareggio tra il dare e l’avere fa eccezione.

 

La Sicilia del 28/02/2012
 
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