Prende forma, per annuncio solenne, la
campagna d’autunno di Berlusconi e dei suoi generali. Il
pezzo forte è il piano Marshall per il Sud, l’emergenza
storica della disunità d’Italia: nei mesi che mancano al
2013 avrà una dotazione economica «per infrastrutture»
sontuosa e inattesa. Né si tratta di risorse virtuali nel
gioco delle tre carte cui si è fatto, e si fa consueto
ricorso; i soldi ci sono e sono immediatamente disponibili,
sono i fondi europei e no destinati alle Regioni, e tra
queste soprattutto alle Regioni meridionali.
Ignoro se la nuova destinazione sarà
operata per legge, o per misura amministrativa: muove
dall’indignata denuncia di Tremonti «etico» per la
cialtroneria delle Regioni, che vogliono sottrarsi all’obolo
per la Patria della pur modesta manovra che l’Europa ci
chiede, un sacrificio che il paese ha capito e gli
amministratori locali no. Ci era stato detto che
significative correzioni a favore degli enti locali
sarebbero venute dalla Finanziaria di autunno, in una con
l’accelerazione della riforma fiscale, e per essa del mitico
Federalismo fiscale generatore di risparmi, di
responsabilità, di trasparenza e miracoloso elisire contro
l’antipolitica.
Ora si apprende di un passaggio
intermedio, del trasferimento al Centro delle risorse d’ogni
provenienza destinate alle «aree depresse» (e chi lo è più
del nostro Sud?), che le Regioni cialtrone non sanno
spendere, o indirizzare a obiettivi virtuosi. In attesa del
«pieno» federalismo, un’Agenzia ad hoc insediata presso la
Presidenza del Consiglio si appresta a fare alla grande quel
che dopo gli scandali non è riuscito alla Protezione civile
SpA del candido Bertolaso: per un misto di Grandi Eventi e
di Emergenze ambientali, Berlusconi redistribuirà in vista
del riordino territoriale del Pdl le somme ora sottratte
alle Regioni e, poiché il paese non può attendere e le
correzioni di Brunetta stentano a dare efficienza agli
apparati, si farà ricorso esplicito a procedure abbreviate,
a scorciatoie quale chiedono da tempo le imprese del
settore, e che avrebbe dovuto far rodaggio con l’abortito e
geniale Piano Casa.
Per questa via, non solo prevale la
concezione aziendale della Politica denunciata da Fini, ma
Berlusconi confida di ricompattare il nocciolo forte del
berlusconismo superando d’un balzo le remore «moralistiche»
delle poche anime belle della Destra e della Lega.
L’ostacolo maggiore, in siffatto disegno, non è Fini o la
sua pattuglia, e ancor meno il moderato Terzo Polo: è stata,
ed è più che mai la magistratura talebana.
Perciò, passaggio obbligato, è la sua
indifferibile riforma anticipata da misure a tutt’oggi
incompiute - dal Processo breve al Lodo Alfano
«costituzionale», alla separazione delle carriere (con
l’aggiustamento conseguente del Csm), all’abuso delle
intercettazioni che coi suoi scoop alimenta le
«provocazioni» della stampa.
Lo scenario è certo «complesso», e
Berlusconi lo sa quando ai suoi uomini (e donne) ed al suo
elettorato chiede di prepararsi all’ennesima sfida. E della
sfida arrogante è parte la «chiamata» forse non solo
simbolica, di politici compromessi eppur creativi - di Dell’Utri
e Previti, di Verdini. La loro fedeltà non è «femminile»,
come quella di Lupi di Bondi di Frattini o di Stracquadaino.
Giacché ne va della risurrezione del
grande disegno o della sopravvivenza, e questi non sono
distratti (come ormai troppi nel PdL) dalla ricerca di
nuove solidarietà, come cercano attraverso le Fondazioni, o
la costituzione di più tradizionali clientele al servizio di
quanti vorrebbero sopravvivere al declino o alla scomparsa
politica dell’Unico.
E torniamo ora al nostro Mezzogiorno e
al piano Marshall in vista. Fino ad oggi, a parte il
focherello del Partito del Sud sulle cui ceneri - con la
consulenza esperta di Calderoli - sono rimasti a soffiare
Miccichè e Lombardo, due sole vie allo sviluppo sono state
indicate dal governo: la Banca di Tremonti e il «modello
Marchionne». Se la delocalizzazione si fa in Serbia, in
Albania, in Marocco, in Romania o in Polonia appare chiaro
che la mafia (le mafie hanno in quei paesi originali
tradizioni) non fa ostacolo agli investimenti: ed è anzi,
sia di vecchio o nuovo modello, interessata a siffatte
operazioni. Senza la mafia è impossibile il controllo di una
forza lavoro a bassa qualificazione ed a basso salario (lo
sapeva bene Lunardi, che aveva in merito idee precise)
giacché essa ha uguali radici del lavoro clandestino.
E la sfida in corso, ed i successi a
man bassa in Sicilia Calabria e Campania hanno perciò radice
nello storico pactum sceleris tra mafia e politica: una
multinazionale del crimine, che può aver capitale nella
Calabria più tradizionale, e operare in Germania e
nell’Italia del Nord, in Spagna e Lussemburgo, in America e
Canada, e può scegliere linee mobili di difesa nello
scenario globale, richiede interventi appropriati se va
contrastata attraverso approcci culturali adeguati al suo
impressionante cangiar di forme.
Il problema del Sud rimane un ceto
politico scadente, cui Berlusconi ha dato ulteriore e comodo
ricetto: ed è paradossale che Tremonti faccia il processo a
proprie creature. Documento il fardello delle «inutili
province» (che non è il solo punto oscurato del programma
del PdL), che sono istituzioni che hanno arrestato la
qualificazione del territorio, e continuano a stare in piedi
per continuità con l’Italia dei prefetti - il cui ruolo (e
lo conferma autorevolmente il nuovo prefetto di Palermo) è
ormai quello di arnese per il Ministero del lavoro,
piuttosto che degli Interni. Ed il territorio, che trova un
limite nei vecchi confini delle province, abbisogna in tutto
il Sud di prender respiro, aggiornando gli antichi equilibri
con correzioni che non si limitino alle infrastrutture.
Quanto agli investimenti statali, l’unificazione del comando
rende più agevole la formazione di cricche: ed una classe
politica, gravemente inquinata di corruzione (diretta, o per
coinvolgimento in cricche o comitati di affari), non può
certo presumere di correggere col decisionismo le
compromissioni delle sue «squallide consorterie».
E col riordino del territorio il Sud
abbisogna di un chiaro indirizzo della formazione. E’
apparsa in vista, per sparire il giorno dopo, la
ripartizione territoriale dei 10 e lode assegnati a studenti
italiani che hanno conseguito quest’anno il diploma di
maturità.
Scontato è il commento «d’opinione»,
che - com’è abitudine ormai consolidata in un paese di
scettici e di bugiardi - imputa a generosa tolleranza delle
commissioni il vantaggio di scuole del Mezzogiorno. E che
ignora quel che allo storico appare da tempo il paradosso
meridionale - l’evidente superiorità del Sud nella
produzione culturale rispetto al Centro-Nord, persino del
cosidetto Sud profondo, che fa contrasto con il
sottosviluppo economico. Quel paradosso fu uno dei
generatori del meridionalismo, con gli esiti fin troppo
noti. Lo sviluppo degli ultimi decenni, che vi hanno visto
la sostanziale sparizione dell’analfabetismo, ha aggiunto al
paradosso nuovi tratti: la crescita vertiginosa nel nostro
Sud del consumo culturale con uno scontato squilibrio tra la
domanda (non sempre articolata) e l’offerta per lo più
disordinata - ora che il potere locale investe in modo
confuso nel cosidetto turismo culturale, sull’onda di una
moda, e di filoni speculativi e dei «progetti creativi» di
una ministro che non ha idee né progetti (e forse neppure
risorse, in partenza destinate all’attivismo
propagandistico).
La conclusione è scontata: nessuno
degli appeal ideologici del berlusconismo (se ne togliamo il
gallismo) poteva fare appello nel Sud che aveva bruciato
immense risorse e illusioni. Mentre cresceva e si
consolidava la cultura, non solo ma soprattutto umanistica,
l’emigrazione prendeva caratteri elitari: a scegliere le
nuove patrie non erano i meridionali più poveri ma il
richiamo dei meridionali di successo. Cu nesci arrinesci...
Ed il Sud cumulava, e cumula una ricchezza che non riesce a
collocare, con effetti di ritorno che degradano il suo senso
dello Stato, particolarmente forte nel Mezzogiorno, a «posto
fisso», ad ammortizzatore sociale. E ciò spegne non solo il
senso dell’interesse generale, lo rende da entrambe le parti
irrilevante - da chi sceglie di farsi cliente, e da chi
abbisogna di clientela, per affari o politica (che sono qui
lo stesso terreno di facile promozione sociale).
E la mafia sostituisce con successo,
dato il solidarismo pseudo-familiare, l’antico ed ormai
dissolto familismo: se il tengo famiglia non è come in
passato la ricerca di uno spazio sociale protetto, ma nella
borghesia è diventato un modo di spender prestigio
liberandosi di nuovi pesi sociali.
Non sarà facile per la politica
sottrarsi alla scomoda contiguità con la «questione morale».
La corruzione che ha infiltrato parti estese del nostro
organismo, non può certo - come propone il piano Marshall di
Berlusconi-Tremonti - curare il male con dosi massicce dello
stesso veleno.
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