Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 
L’ANALISI

Le turbolenze a Palazzo e la rivoluzione annunciata dalla rinnovata «questione morale»

Chi paga il riscatto
del Mezzogiorno
 
Giuseppe Giarrizzo
 

Prende forma, per annuncio solenne, la campagna d’autunno di Berlusconi e dei suoi generali. Il pezzo forte è il piano Marshall per il Sud, l’emergenza storica della disunità d’Italia: nei mesi che mancano al 2013 avrà una dotazione economica «per infrastrutture» sontuosa e inattesa. Né si tratta di risorse virtuali nel gioco delle tre carte cui si è fatto, e si fa consueto ricorso; i soldi ci sono e sono immediatamente disponibili, sono i fondi europei e no destinati alle Regioni, e tra queste soprattutto alle Regioni meridionali.

Ignoro se la nuova destinazione sarà operata per legge, o per misura amministrativa: muove dall’indignata denuncia di Tremonti «etico» per la cialtroneria delle Regioni, che vogliono sottrarsi all’obolo per la Patria della pur modesta manovra che l’Europa ci chiede, un sacrificio che il paese ha capito e gli amministratori locali no. Ci era stato detto che significative correzioni a favore degli enti locali sarebbero venute dalla Finanziaria di autunno, in una con l’accelerazione della riforma fiscale, e per essa del mitico Federalismo fiscale generatore di risparmi, di responsabilità, di trasparenza e miracoloso elisire contro l’antipolitica.

Ora si apprende di un passaggio intermedio, del trasferimento al Centro delle risorse d’ogni provenienza destinate alle «aree depresse» (e chi lo è più del nostro Sud?), che le Regioni cialtrone non sanno spendere, o indirizzare a obiettivi virtuosi. In attesa del «pieno» federalismo, un’Agenzia ad hoc insediata presso la Presidenza del Consiglio si appresta a fare alla grande quel che dopo gli scandali non è riuscito alla Protezione civile SpA del candido Bertolaso: per un misto di Grandi Eventi e di Emergenze ambientali, Berlusconi redistribuirà in vista del riordino territoriale del Pdl le somme ora sottratte alle Regioni e, poiché il paese non può attendere e le correzioni di Brunetta stentano a dare efficienza agli apparati, si farà ricorso esplicito a procedure abbreviate, a scorciatoie quale chiedono da tempo le imprese del settore, e che avrebbe dovuto far rodaggio con l’abortito e geniale Piano Casa.

Per questa via, non solo prevale la concezione aziendale della Politica denunciata da Fini, ma Berlusconi confida di ricompattare il nocciolo forte del berlusconismo superando d’un balzo le remore «moralistiche» delle poche anime belle della Destra e della Lega. L’ostacolo maggiore, in siffatto disegno, non è Fini o la sua pattuglia, e ancor meno il moderato Terzo Polo: è stata, ed è più che mai la magistratura talebana.

Perciò, passaggio obbligato, è la sua indifferibile riforma anticipata da misure a tutt’oggi incompiute - dal Processo breve al Lodo Alfano «costituzionale», alla separazione delle carriere (con l’aggiustamento conseguente del Csm), all’abuso delle intercettazioni che coi suoi scoop alimenta le «provocazioni» della stampa.

Lo scenario è certo «complesso», e Berlusconi lo sa quando ai suoi uomini (e donne) ed al suo elettorato chiede di prepararsi all’ennesima sfida. E della sfida arrogante è parte la «chiamata» forse non solo simbolica, di politici compromessi eppur creativi - di Dell’Utri e Previti, di Verdini. La loro fedeltà non è «femminile», come quella di Lupi di Bondi di Frattini o di Stracquadaino.

Giacché ne va della risurrezione del grande disegno o della sopravvivenza, e questi non sono distratti (come ormai  troppi nel PdL) dalla ricerca di nuove solidarietà, come cercano attraverso le Fondazioni, o la costituzione di più tradizionali clientele al servizio di quanti vorrebbero sopravvivere al declino o alla scomparsa politica dell’Unico.

E torniamo ora al nostro Mezzogiorno e al piano Marshall in vista. Fino ad oggi, a parte il focherello del Partito del Sud sulle cui ceneri - con la consulenza esperta di Calderoli - sono rimasti a soffiare Miccichè e Lombardo, due sole vie allo sviluppo sono state indicate dal governo: la Banca di Tremonti e il «modello Marchionne». Se la delocalizzazione si fa in Serbia, in Albania, in Marocco, in Romania o in Polonia appare chiaro che la mafia (le mafie hanno in quei paesi originali tradizioni) non fa ostacolo agli investimenti: ed è anzi, sia di vecchio o nuovo modello, interessata a siffatte operazioni. Senza la mafia è impossibile il controllo di una forza lavoro a bassa qualificazione ed a basso salario (lo sapeva bene Lunardi, che aveva in merito idee precise) giacché essa ha uguali radici del lavoro clandestino.

E la sfida in corso, ed i successi a man bassa in Sicilia Calabria e Campania hanno perciò radice nello storico pactum sceleris tra mafia e politica: una multinazionale del crimine, che può aver capitale nella Calabria più tradizionale, e operare in Germania e nell’Italia del Nord, in Spagna e Lussemburgo, in America e Canada, e può scegliere linee mobili di difesa nello scenario globale, richiede interventi appropriati se va contrastata attraverso approcci culturali adeguati al suo impressionante cangiar di forme.

Il problema del Sud rimane un ceto politico scadente, cui Berlusconi ha dato ulteriore e comodo ricetto: ed è paradossale che Tremonti faccia il processo a proprie creature. Documento il fardello delle «inutili province» (che non è il solo punto oscurato del programma del PdL), che sono istituzioni che hanno arrestato la qualificazione del territorio, e continuano a stare in piedi per continuità con l’Italia dei prefetti - il cui ruolo (e lo conferma autorevolmente il nuovo prefetto di Palermo) è ormai quello di arnese per il Ministero del lavoro, piuttosto che degli Interni. Ed il territorio, che trova un limite nei vecchi confini delle province, abbisogna in tutto il Sud di prender respiro, aggiornando gli antichi equilibri con correzioni che non si limitino alle infrastrutture. Quanto agli investimenti statali, l’unificazione del comando rende più agevole la formazione di cricche: ed una classe politica, gravemente inquinata di corruzione (diretta, o per coinvolgimento in cricche o comitati di affari), non può certo presumere di correggere col decisionismo le compromissioni delle sue «squallide consorterie».

E col riordino del territorio il Sud abbisogna di un chiaro indirizzo della formazione. E’ apparsa in vista, per sparire il giorno dopo, la ripartizione territoriale dei 10 e lode assegnati a studenti italiani che hanno conseguito quest’anno il diploma di maturità.

Scontato è il commento «d’opinione», che - com’è abitudine ormai consolidata in un paese di scettici e di bugiardi - imputa a generosa tolleranza delle commissioni il vantaggio di scuole del Mezzogiorno. E che ignora quel che allo storico appare da tempo il paradosso meridionale - l’evidente superiorità del Sud nella produzione culturale rispetto al Centro-Nord, persino del cosidetto Sud profondo, che fa contrasto con il sottosviluppo economico. Quel paradosso fu uno dei generatori del meridionalismo, con gli esiti fin troppo noti. Lo sviluppo degli ultimi decenni, che vi hanno visto la sostanziale sparizione dell’analfabetismo, ha aggiunto al paradosso nuovi tratti: la crescita vertiginosa nel nostro Sud del consumo culturale con uno scontato squilibrio tra la domanda (non sempre articolata) e l’offerta per lo più disordinata - ora che il potere locale investe in modo confuso nel cosidetto turismo culturale, sull’onda di una moda, e di filoni speculativi e dei «progetti creativi» di una ministro che non ha idee né progetti (e forse neppure risorse, in partenza destinate all’attivismo propagandistico).

La conclusione è scontata: nessuno degli appeal ideologici del berlusconismo (se ne togliamo il gallismo) poteva fare appello nel Sud che aveva bruciato immense risorse e illusioni. Mentre cresceva e si consolidava la cultura, non solo ma soprattutto umanistica, l’emigrazione prendeva caratteri elitari: a scegliere le nuove patrie non erano i meridionali più poveri ma il richiamo dei meridionali di successo. Cu nesci arrinesci... Ed il Sud cumulava, e cumula una ricchezza che non riesce a collocare, con effetti di ritorno che degradano il suo senso dello Stato, particolarmente forte nel Mezzogiorno, a «posto fisso», ad ammortizzatore sociale. E ciò spegne non solo il senso dell’interesse generale, lo rende da entrambe le parti irrilevante - da chi sceglie di farsi cliente, e da chi abbisogna di clientela, per affari o politica (che sono qui lo stesso terreno di facile promozione sociale).

E la mafia sostituisce con successo, dato il solidarismo pseudo-familiare, l’antico ed ormai dissolto familismo: se il tengo famiglia non è come in passato la ricerca di uno spazio sociale protetto, ma nella borghesia è diventato un modo di spender prestigio liberandosi di nuovi pesi sociali.

Non sarà facile per la politica sottrarsi alla scomoda contiguità con la «questione morale». La corruzione che ha infiltrato parti estese del nostro organismo, non può certo - come propone il piano Marshall di Berlusconi-Tremonti - curare il male con dosi massicce dello stesso veleno.

 

La Sicilia del 10/08/2010
 
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