La Sicilia vive in questi giorni
l’ennesima emergenza del mondo del lavoro. La vicenda dei
precari della scuola è su tutti i giornali siciliani e
rischia di portare nuove sofferenze ai lavoratori
dell’Isola. La difesa dei lavoratori è un’esigenza
prioritaria, ma è necessario riconoscere che, per affrontare
i problemi dell’occupazione, la logica dell’emergenza non è
quella giusta.
In questo caso il problema ha
riguardato i lavoratori del settore pubblico, ma nel passato
recente lo stesso problema si è posto per quelli del settore
privato. La natura del problema è infatti la stessa. Il
prodotto di quel lavoro non è economicamente sostenibile, in
alcuni casi perché manca un mercato che assorba quel
prodotto a quel prezzo, in altri perché l’ammontare di
risorse pubbliche necessarie è eccessivo rispetto a quello
che è possibile raccogliere. E non certo perché i lavoratori
siciliani, pubblici o privati, siano meno produttivi dello
standard nazionale.
Infatti, in Sicilia la produttività per
addetto, che misura il prodotto di coloro che hanno un
lavoro, non è molto più bassa dello standard nazionale. Gli
ultimi dati riportati nella relazione della Banca d’Italia
sull’economia siciliana mostrano che mentre il valore
aggiunto per abitante in Sicilia è pari al 63,8 per cento
della media nazionale, il valore aggiunto per unità di
lavoro è pari al 88,4 per cento della media nazionale. Ciò
significa che le differenze nella ricchezza prodotta in
media non hanno molto che fare con le differenze di
produttività. Hanno a che fare con il fatto che pochi
lavorano. Ciò significa che sono alti i costi della
creazione e del funzionamento dei mercati. Sono i cosiddetti
costi di transazione; quando sono alti essi rendono poco
attraenti gli scambi, e dunque il mercato, lasciando così
molte risorse inutilizzate.
Nel passato le conseguenze negative di
tali costi erano mitigate dall’alto grado di protezione dei
mercati. Se si aggiunge poi che il settore pubblico riusciva
a creare occupazione anche quando non era strettamente
necessario, si ottiene un quadro dell’occupazione non
particolarmente allarmante.
In un contesto, come quello attuale, in
cui i mercati sono sempre meno protetti e le crisi
finanziarie riducono la capacità di accedere alle risorse
finanziarie, l’alto costo di creazione e di funzionamento
dei mercati diventa difficile da sostenere. Purtroppo il
settore pubblico, in queste circostanze, non può più
svolgere la funzione compensatrice, stretto com’è nel
dilemma tra offrire uno stimolo al sistema economico e
apparire pienamente solvibile. La conseguenza è che si
perdono posti di lavoro sia nel settore privato sia nel
settore pubblico.
Questa analisi indica il punto centrale
del problema dell’occupazione in Sicilia e di quello
connesso dello sviluppo economico. Come testimonia il tasso
di occupazione siciliano, tra i più bassi nelle regioni
europee, mancano le occasioni di scambio, non si formano i
mercati, non si trasformano le risorse esistenti, non si
offrono posti di lavoro. Si tratta di una analisi coerente
con la percezione che molti osservatori riportano visitando
la Sicilia, ossia quella di una terra ricca di risorse ma
incapace di trasformarle tutte in reddito. In circostanze di
questo tipo, dunque, ciò che manca non sono le risorse da
sfruttare, ma le regole e le istituzioni che permettono a
quelle risorse di entrare in un mercato, di formare un
prezzo, e di ricostituirsi almeno nella misura originaria.
Se quelle regole e quelle istituzioni mancano, quelle
risorse sono destinate a restare fuori dai circuiti della
produzione proprio a causa degli alti costi di transazione.
Cosa occorre per formare e far
prosperare un mercato? Occorre innanzitutto assegnare i
diritti sulle cose da scambiare. Se non è chiaro a chi
appartiene una risorsa, difficilmente quella risorsa potrà
entrare in un circuito di mercato. Piuttosto, proprio perché
manca una adeguata protezione dei diritti, essa rischia di
essere depredata. Gli esempi sono innumerevoli e vanno dalle
antiche ricette di cucina alle risorse del sottosuolo,
passando per il paesaggio e per il talento dei giovani.
Nel migliore dei casi, infatti, una
risorsa che non può essere venduta in Sicilia per la carente
organizzazione del mercato, si trasferisce altrove se è
sufficientemente mobile. È il caso dei giovani talenti
siciliani che non riescono a vendere il loro "prodotto" in
Sicilia; sicché, per non farlo deteriorare, sono costretti a
trasferirlo altrove.
La Sicilia ha bisogno di lanciare una
nuova stagione dei diritti, che sono i diritti sulle cose
dei siciliani. Per troppo tempo vi ha rinunciato, ricevendo
sotto forma di dono ciò che invece doveva ricevere come
pagamento di un prezzo. Su quel pagamento, se fosse stato
riconosciuto come tale, avrebbe potuto costruire un sano
percorso di sviluppo economico.
|