Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Nuovo Mezzogiorno
 
 

Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 
IL DIBATTITO
La dittatura
della maggioranza
 
Maurizio Caserta
 

Il futuro politico del nostro paese appare molto incerto. Molti affermano che stiamo vivendo la fine di un’epoca, quella di Silvio Berlusconi. Oggi è difficile dire se è vero. Più cautamente si può affermare che alcuni nodi stanno venendo al pettine. Uno dei nodi cruciali è quello che lega l’esercizio del potere alla sua fonte di legittimazione. Negli stati moderni quella fonte è nient’altro che la legge. Questa proposizione è stata messa in dubbio negli ultimi anni: alla legge è stata sostituita la volontà popolare. Secondo questa visione l’espressione della volontà popolare è sempre un momento costitutivo che legittimerebbe anche un rinnovo totale delle regole della convivenza. È la cosiddetta dittatura della maggioranza. Le sue virtù sarebbero: la capacità innovatrice e la tempestività dell’intervento. Se invece l’esercizio del potere fosse sottoposto alla legge, qualunque essa sia al momento dell’espressione della volontà popolare, ne deriverebbero ritardi, inefficienze, conservazione. A questa argomentazione altri rispondono che l’esercizio della volontà popolare deve avvenire all’interno del quadro normativo vigente al momento dell’espressione della volontà popolare, poiché l’atto costituivo è già stato compiuto al momento della emanazione della costituzione repubblicana.

La questione diventa dunque: può una società sopportare svariati e ravvicinati momenti costitutivi senza compromettere la sua capacità di funzionamento e di evoluzione nel tempo? Parimenti, può una società rinunciare del tutto a ricostituirsi nella pretesa che l’atto costitutivo sia unico e intangibile? Sono queste le domande cui si dovrebbe cercare di dare risposta, poiché da questa risposta dipende la scelta di come organizzare il sistema politico-istituzionale nei prossimi anni. Sul punto di recente hanno già scritto su questo giornale Salvo Andò e Salvatore Spagano.

La questione tocca un antico dibattito sulla natura della democrazia: se essa è un contenitore od un contenuto, ossia se è un metodo od una sostanza. Se vale la prima accezione, ossia quella della democrazia contenitore o metodo, basta che una regola venga imposta con il metodo democratico, rispettando dunque il volere della maggioranza, perché essa sia accettabile a prescindere dalla natura democratica del suo contenuto. Valga per tutti un esempio estremo: la pena di morte può infatti essere votata dalla maggioranza dei cittadini. In questo caso una regola profondamente antidemocratica (intendendo per democrazia la reversibilità della decisione) viene adottata con il volere dei più. Un altro esempio è dato dalla elezione di un dittatore (nella sua versione moderna o antica): si sceglie democraticamente di essere governati non democraticamente. Se vale la seconda accezione, ossia quella della democrazia contenuto o sostanza, basta che una regola sia internamente democratica perché non conti il modo in cui essa viene adottata. Imporre un regime democratico con la violenza o con una guerra è l’esempio estremo di questa accezione. Costruire una posizione di potere con metodi illeciti per poi esercitare quel potere in modo democratico è un altro esempio.

Vi è ovviamente un terza accezione: quella per la quale la democrazia è sia un contenitore sia un contenuto, metodo e sostanza insieme. Si tratta dell’idea di democrazia di più difficile realizzazione poiché, a differenza delle prime due, non consente scorciatoie. Non consente la retorica del «ritorno al paese» o della «parola agli elettori» per imporre soluzioni autoritarie; così come non consente il ricorso alla violenza o alla retorica della «guerra giusta» per ristabilire la democrazia.

Essa dunque toglie enfasi dal momento costitutivo e rinuncia alla tentazione di rifondare continuamente la democrazia. Ma rischia di restare senza spinta propulsiva perché colloca il momento costitutivo in un tempo lontano del quale molti possono aver perso memoria.

Questa ricostruzione è utile per interpretare le vicende del nostro paese: da un lato troviamo il richiamo alla rifondazione che sia il PdL sia la Lega emettono continuamente; dall’altro il richiamo alla difesa dell’antico patto costitutivo emesso dal Pd. Una ricostituzione permanente contro la costituzione unica. Ma i due richiami rischiano di sovrapporsi producendo solo un rumore indistinto. Tra una chiamata alle armi per rifondare ed un’altra per difendere, il rischio è quello di non governare più i processi reali, economici, sociali, culturali che certo non aspettano la conclusione del nostro «dibattito» nazionale sull’idea di democrazia. In un articolo dell’Economist della scorsa settimana, che riguarda il rapporto difficile tra l’Italia e l’Unione Europea, si riporta una efficace notazione linguistica che conferma questa analisi. In italiano esiste una sola parola per indicare due cose distinte; la parola politica indica ciò che in inglese è distinto in politics e policy. Politics è ciò che si fa nelle campagne elettorali; policy è ciò che si fa una volta al governo. Questa confusione linguistica produce in Italia effetti reali: sfruttando l’ambiguità ci si concentra più sulla politics che sulla policy.

Esiste una strada, che non sia tra quelle già percorse della rifondazione continua o della difesa ad oltranza, per uscire dalla crisi politico-istituzionale ormai evidente? La strada se esiste deve certamente passare dallo sforzo di coniugare stabilità ed innovazione: nessun sistema sopporta una ricostituzione continua così come nessun sistema sopporta un divieto assoluto di ricostituzione. La ricostituzione deve avere carattere straordinario ma non deve essere preclusa. I passaggi di rigenerazione sono utili ma non possono diventare continui senza perdere la loro natura di momenti di rivitalizzazione del sistema. C’è la politics e c’è la policy appunto: c’è la progettazione del nuovo e c’è la realizzazione del nuovo. Che ci sia un problema di separazione delle carriere anche in politica? Si tratta di funzioni diverse: forse sono necessari due percorsi diversi. A ben vedere questa separazione esiste (almeno sulla Carta): vi è il Parlamento e vi è il Governo; il potere legislativo ed il potere esecutivo; la politics e la policy. Che sia utile tornare alla educazione politica, cessando di credere che basti essere bravi imprenditori, magistrati, professionisti, soubrette, per essere anche bravi politici?

 

La Sicilia del 11/08/2010
 
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