La Sicilia nella crisi
Dal 2001 ad oggi la
crescita della Sicilia è stata inferiore a quella della
media nazionale, che risulta comunque distante da quella dei
paesi economicamente più dinamici; la stessa economia
europea appare in condizioni di svantaggio verso i
principali competitori internazionali. In una tale
condizione, la ripresa di cui oggi si ravvisano rare tracce
nelle economie più avanzate tarderà a coinvolgere Europa,
Italia e, solo in ultimo, potrà comprendere la Sicilia. Per
conseguenza, essa sarà tra le ultime realtà d’Europa ad
invertire la tendenza.
Gli interrogativi
Cosa condanna, oggi
come ieri, la Sicilia al ruolo di ultima carrozza del
convoglio? Esistono, a fondamento del suo rallentato
sviluppo, variabili economiche obiettive su cui è pensabile
intervenire o conviene rassegnarsi all’irredimibilità di un
carattere immutabile? E cosa è stato fatto per condurre la
sua economia ai livelli del resto del Paese?
Gli interventi del passato e le loro insufficienze
Da quarant’anni a
questa parte l’investimento infrastrutturale nel Mezzogiorno
d’Italia è stato superiore a quello della media nazionale;
ciononostante, questi investimenti non hanno consentito uno
sviluppo proporzionale al loro valore. Si avanzano
tradizionalmente due spiegazioni per dare conto di questo
fenomeno: da un canto si fa riferimento alle caratteristiche
morfologiche del territorio siciliano, che impedirebbero una
resa dell’investimento paragonabile a quella di luoghi
orograficamente più fortunati. Dall’altra parte, si assume
che la differenza tra l’investimento infrastrutturale e la
sua resa in termini di sviluppo sia un indice del livello di
corruzione: la maggiore costosità relativa dell’investimento
indicherebbe che corrotti e corruttori siano in grado di
apprenderne una significativa parte.
Le consuetudini e i linguaggi: le infrastrutture
immateriali
Precisamente occorre
riferirsi ad investimenti in infrastrutture umane e sociali,
capaci di correggere i vincoli sociali informali che così
intensamente pesano sulla dinamica dell’economia e della
società della Regione: la presenza di un certo tipo di
famiglia, di un capillare sistema clientelare, di rendite
parassitarie ampie e di un personale lobbistico affermato e
difficilmente sostituibile, induce la rassegnazione, la
conformizzazione e la sudditanza come migliori meccanismi
adattivi, consentendo la sopravvivenza di un livello di
benessere individuale sufficiente per quel territorio ma
totalmente inadeguato altrove. In sintesi, a causa
dell’esistenza di vincoli informali tipici della cultura
siciliana, la soglia di benessere sufficiente è
particolarmente bassa. I vincoli informali siciliani sono
quindi un’arma a doppio taglio: da un canto permettono il
mantenimento di un livello di sussistenza in condizioni
peggiori di quelle di altre parti del paese, dall’altra
funzionano come freno: una cintura di sicurezza che ad un
tempo protegge ed immobilizza.
Tempo di crisi come tempo di opportunità
Il tempo di crisi è un
tempo privilegiato per invertire la tendenza. A fronte di un
relativo benessere, infatti, non esiste alcun incentivo
individuale o collettivo a mettere in discussione una
istituzione, formale o meno, che assicura il mantenimento
dello status quo. Non si avverte il cambiamento come
una impellente necessità, ma solo come un’opportunità di
miglioramento rinviabile sine die. Quando però, a
causa di una crisi delle dimensioni di quella attuale, si è
in procinto di oltrepassare verso il basso la soglia critica
di benessere individuale che consente il mantenimento
dell’assetto istituzionale, tali incentivi compaiono. Si
mette allora in moto da sé un dinamismo e un’attenzione che
permette agli individui di dubitare per il futuro
dell’attitudine dei linguaggi fino ad allora sufficienti a
garantire la sopravvivenza. È questa dunque, e in questo
momento, la leva che può essere impugnata.
I destinatari dell’intervento
Scuole e università
anzitutto possono allora essere il volano di questa
operazione. Riscrivere vincoli non formali è compito che
richiede un investimento protratto per un tempo assai lungo,
e ridisegnare un apparato culturale e linguistico non è
ovviamente operazione che possa essere dettagliatamente
progettata. Sarebbe però sufficiente estendere i confini
delle relazioni, promuovere scambi che permettano agli
individui di venire in contatto con linguaggi e consuetudini
più diffusi e dinamici, perché questi stessi apprezzino i
nuovi strumenti, li replichino nei propri territori e
divengano attori di un cambiamento stabile. Tutto questo è
per definizione molto più semplice per le giovani
generazioni, dotate di maggiore mobilità, più pronte al
recepimento delle novità e meno calcificate nella
ripetizione di apparati consuetudinari.
La responsabilità dell’azione
Si tratta di un atto
di coraggio e di generosità verso il futuro che l’attuale
classe dirigente (avversamente selezionata anche a causa
dell’asimmetria informativa prodotta da quei vincoli
formali) potrebbe non avere la lungimiranza per porre in
essere; resta tuttavia un percorso obbligato, perché l’unico
in grado di mettere in moto un circolo virtuoso e il solo
atto a proteggere quella stessa classe dirigente da
rivolgimenti non controllabili.
Sarà, tale rischio, un
incentivo sufficiente ad agire? |